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INDIA - Punjab
 
 
                                                                                                                                 " Sri Harmandar Sahib - Il Tempio d'oro "

Dove oggi sorge la città di Amritsar, la capitale religiosa dei sikh, molto tempo fa vi era uno stagno ed una fitta foresta, attorno a cui sorgevano i piccoli villaggi di Tung, di Gumtala e di Gilwali. La leggenda narra che Buddha dopo essersi fermato in quel luogo idilliaco, esclamò "Dei posti visitati fino ad ora è il migliore per raggiungere il Nirvana; dovrà tuttavia passare molto tempo prima che diventi celebre." Quando il buddismo cominciò a diffondersi, il posto acquisì una notevole importanza ma la sua fama non durò a lungo.
Nel 1532, anno in cui Guru Nanak, (1469-1539) colui che diede vita alla religione sikh, fondendo gli aspetti migliori dell'induismo e dell'islamismo, vi si recò, rimanendovi ammaliato, il luogo era ancora circondato da estese foreste e da piccoli villaggi. Amritsar, il cui nome significa "bacino di nettare", fu fondata da Bhai Jetha, colui che qualche tempo dopo sarebbe diventato Ram Das, il quarto Guru, (1574-1581). Vi venne inviato da Amar Das, il terzo Guru, (1552-1574) per dar vita ad un centro religioso. Nel 1574, Ram Das, iniziò i lavori di scavo allo stagno che fu allargato e trasformato in un bacino regolare. I lavori vennero in seguito sospesi e ripresero nel 1576, quando il piccolo villaggio si era trasformato in una cittadina conosciuta con i nomi di Chak Ram Das e di Ramdaspur. Lo scavo fu terminato nel 1589 sotto il Guru Arjan, che avviò anche la costruzione dell'Har Mandar, il santuario edificato al centro del bacino. Il tempio fu completato nel 1601 e nell'autunno del 1604 vi furono trasferite le Sacre Scritture del sikhismo (Adi Grantha); primo lettore delle Sacre Scritture, (Granthi) fu nominato Baba Budha.

Lo Sri Harmandar Sahib, chiamato successivamente Tempio d'oro, ebbe una storia alquanto travagliata. Fu distrutto e dissacrato, a più riprese, dai conquistatori, ma i Sikh, riuscirono sempre a riconquistarlo e a vendicarne i sacrilegi a costo di tremendi sacrifici. Nel 1739, in seguito all'invasione dell'India da parte di Nadir Shah, governatore moghul di Lahore ed alla conseguente confusione e all'anarchia venutasi a creare, uno dei leader sikh del momento, Jassa Singh Kalal, dichiarò pubblicamente che Amritsar ed il Punjab sarebbero stati governati dal Dal Khalsa, il parlamento sikh. Nel 1747, il Punjab fu invaso da Ahmad Shah Abdali che fece seguire all'invasione un lungo periodo di persecuzioni. Il sovrano moghul, voleva infatti annientare i sikh e demolire il tempio, che venne nuovamente occupato nel 1757. I sikh reagirono e l'anno successivo contrattaccarono, occupando Lahore ed Amritsar. Abdali invase nuovamente il subcontinente indiano nel 1762 e nella battaglia di Kup Rahira, ricordata come un grande genocidio, li sconfisse nuovamente. Nel ritornare a Kabul, portò a termine il suo progetto, facendo radere al suolo Amritsar; il tempio fu fatto saltare in aria utilizzando polvere da sparo ed il bacino dissacrato nonostante una strenua e disperata difesa. Quando nel 1767, Abdali lasciò definitivamente l'India, i sikh si riappropriarono del Punjab e del tempio, che venne ricostruito. Il Maharaja Ranjit Singh (1780-1839) lo abbellì rivestendone la parte superiore con una lamina d'oro e la parte inferiore con marmi indiani, mosaici e pietre semi-preziose. Fin quando il Punjab fu uno stato sovrano, il tempio venne gestito da un consiglio sikh diretto dal Maharaja in persona. Durante il periodo coloniale britannico, il controllo venne affidato ad un ispettore (Sarbrah) nominato dal Deputy Commissioner di Amritsar. La gestione, non fu esente da gravi errori che fece crescere il risentimento del popolo; nei primi anni del XX° secolo, prese vita il Sikh Gurdware Reform Movement, la punta avanzata della lotta contro l'imperialismo straniero. Nel 1925, il controllo e l'amministrazione del tempio vennero definitivamente affidati al Shiromani Gurdware Parbandhak Committee, il parlamento sikh eletto dal popolo.

Lo Sri Harmandar Sahib, felice simbiosi fra le tradizioni artistiche hindu e musulmane, segnò l'inizio di un nuovo indirizzo architettonico nella costruzione dei templi indiani. E' una costruzione a due piani, in marmo, edificata su una piattaforma al centro del bacino sacro; la cupola centrale e la parte superiore delle pareti sono rivestite da lastre di rame ricoperte di foglie d'oro. Da qui il nome di Tempio d'oro. Il tempio ha una superficie di 135 metri quadrati e presenta quattro porte, una per lato, in corrispondenza dei punti cardinali. Sono porte simboliche, che stanno a significare che l'Harmandar, è aperto a tutti, senza distinzione di religione, casta, credo o sesso. Una passerella in marmo, chiamata il ponte dei Guru, unisce il tempio con la sponda occidentale del bacino, intorno a cui corre il Parkarma, passeggiata anch'essa lastricata in marmo larga 13 metri. L'accesso alla passerella avviene attraverso un portale ad arco, il Darshni Darwaza, che presenta pannelli decorati con artistici bassorilievi in avorio. All'interno dello Sri Harmandar, al piano terreno sotto uno sfarzoso baldacchino ornato con gioielli vengono esposte durante il giorno, le Sacre Scritture del sikhismo. Ogni mattina, alle 5 in inverno ed alle 4 in estate, il sacro testo (Sri Guru Granth Sahib Ji) protetto dagli sguardi degli astanti da sfarzosi tessuti damascati, viene portato in processione, su una portantina dorata dall'Akal Takhat (il Trono Divino) che sorge sul sagrato dell'Harmandar, al tempio. Dopo essere stato esposto all'adorazione dei fedeli, per l'intera giornata, fa ritorno all'Akal Takhat al calare delle tenebre (alle ore 21 in inverno, alle 22 in estate). Durante il giorno, all'interno del tempio, salmi tratti dalle sacre scritture vengono suonati e cantati ininterrottamente per l'intera giornata dai Ragis, i musici stipendiati dall'Harmandar Management Committee. Le pareti interne del piano terreno sono rivestite da lastre di marmo con intarsi arabescati raffiguranti motivi floreali fatti utilizzando pietre dure di diversi colori. Le pareti del piano superiore, i cornicioni, i capitelli delle colonne, le cupole ed ogni altro spazio, con l'eccezione del pavimento, sono un insieme sfavillante di rame dorato. La loggia orientale del tempio ricoperta anch'essa con lastre di rame dorato fu offerta da Rani Sada Kaur, suocera del Maharaja Ranjit Singh, mentre i rivestimenti degli altri lati si devono all'intervento del Maharaja, di suo figlio Kharak e del nipote Nau-Nihal Singh. Il piano superiore presenta pareti ornate da disegni floreali e pavimenti in marmo ed ospita anche una piccola sala degli specchi, chiamata Shish Mahal. Usata originariamente dai guru, ha le pareti decorate con i testi di alcuni canti sacri incisi con lettere d'oro; oggi viene utilizzata per l'Akhand Path, la recita senza interruzione delle sacre scritture. Uno stretto passaggio conduce quindi al terrazzo su cui si trova la magnifica cupola d'oro rappresentante un fiore di loto capovolto; altre cupole di dimensioni ridotte ornano invece il parapetto.

Il pellegrinaggio allo Sri Harmandar non è completo senza una visita all'Akal Takhat. Situato esattamente di fronte al tempio, fu costruito nel 1609 dal sesto guru Hargobind (1606-44). I tre piani, che oggi compongono l'edificio, furono fatti costruire dal Maharaja Ranjit Singh; il piano terreno nella sua configurazione attuale risale al 1874. L'Akhal Takhat, sede del parlamento sikh, l'organo che delibera le norme riguardanti la vita della comunità, fu distrutto diverse volte dagli invasori musulmani e venne pesantemente danneggiato anche dall'esercito indiano durante l'operazione militare voluta da Indira Gandhi, durante i disordini del 1984, per catturare gli estremisti sikh, che armati, si erano barricati all'interno.

Un tempio sikh, non può essere mai concepito senza la cucina comunitaria il Guru Ka Langar. L'istituzione delle "cucine comunitarie" fu voluta dai Guru in base agli insegnamenti di Guru Narak, il fondatore del sikhismo che predicava un sistema sociale senza caste. Il cibo servito ai fedeli, seduti uno accanto all'altro, nelle sale attigue alle cucine, voleva significare l'abbattimento delle barriere tra uomo e uomo. Migliaia di pasti, (il loro numero aumenta considerevolmente durante i week-end) cucinati dai volontari, vengono serviti giorno e notte, ininterrottamente, a tutti i visitatori senza alcuna distinzione di religione, casta, credo o nazionalità.
 
 
 
 
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