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" Sulle orme di Gandhi "
Terra di confine, al di fuori delle principali rotte turistiche, il
Gujarat, è terra di tradizioni e contraddizioni.
Stili di vita arcaici convivono con la modernità portata dai grandi insediamenti industriali.
Dai monti Aravalli, territorio degli Adivasi e dei Garasia, seguendo antiche rotte carovaniere ancor oggi percorse dai
Rabari, fiera etnia nomade in perenne migrazione, alla desertica ed inospitale regione del Kutch, per raggiungere i
villaggi al confine pakistano, territorio di tribù quali i Meghwals, i Mochi, i Jai, ed i Marwar.
Il resoconto da domenica 15 a martedì 24 ottobre si trova nella sezione
India - Rajasthan
Mercoledì 25 ottobre - Dopo che Ravi, il nostro autista, si è fatto
dare dalla proprietaria dell'hotel in cui abbiamo alloggiato, indicazioni precise sulle strade che dovremo percorrere per giungere a
Poshina, lasciamo Ranakpur. Neppure il tempo di lanciare un ultimo sguardo al complesso dei templi jainisti e la strada inizia
ad inerpicarsi tortuosa in una stretta valle fra i monti Aravalli. In un susseguirsi di ripide salite e discese ci dirigiamo verso
Monte Abu; sono in corso lavori di ampliamento della sede stradale e quello che percorriamo è un interminabile e polveroso cantiere.
Finalmente ritroviamo l'asfalto; seguendo le indicazioni dateci da Mrs. Shivika ci addentriamo in strette strade secondarie
che si snodano attraverso la campagna in un dolce paesaggio collinare; i contadini al lavoro nei campi, arano e sarchiano il
terreno utilizzando buoi ed aratri in legno. Nei pressi di sperduti villaggi, gruppetti di persone sono in attesa del passaggio di un
mezzo pubblico. Incrociamo vecchie jeep di fabbricazione indiana, adibite a servizio pubblico cariche all'inverosimile; all'interno
sono stipati anziani, donne, bambini, mentre gli uomini viaggiano aggrappati alle fiancate e seduti sul tetto.
Ne vediamo
alcune particolarmente affollate, i passeggeri si sono sistemati anche sul cofano e sui parafanghi anteriori lasciando all'autista
solo una ristretta visuale. Cerchiamo di contare le persone a bordo; increduli pensiamo di esserci sbagliati ma Ravi ci conferma che
in quelle condizioni trasportano una sessantina di persone. Dopo circa tre ore di viaggio siamo a Poshina; unica possibilità di
alloggio è il palazzo di Darbargadh, antica residenza appartenente da otto generazioni alla stessa famiglia ed ora trasformata in
heritage hotel. Ci accoglie Harendrapal Singh che ci accompagna nella
visita del maniero appartenuto ai suoi avi, illustrandoci con dovizia di particolari, le camere ricche di fascino e di
atmosfera, arredate con mobili d'epoca. Il prezzo, elevato per le condizioni in cui il palazzo, che ha visto tempi sicuramente migliori,
si trova, comprende anche un tour da effettuarsi nel pomeriggio ai villaggi situati nei dintorni. Passeggiando per le vie
polverose di Poshina, transitiamo davanti ad un ambulatorio; il medico evidentemente desideroso di scambiare quattro chiacchere,
ci invita ad accomodarci nel piccolo studio e sospendendo le visite, decide di conversare con noi. Ritornando al palazzo, nel bazar
incontriamo alcune donne Garasia, venute dai loro villaggi, per fare acquisti.
Nel pomeriggio con la jeep di mr. Harendrapal visitiamo alcuni villaggi Adivasi, piccole enclave costituite da poche capanne, e la
collina sacra per Adivasi e Garasia, dove sotto alcuni alberi sono stati collocati negli anni circa 6.000 cavallini di terracotta.
Siamo gli unici turisti occidentali ed a cena il proprietario, amante e profondo conoscitore di queste terre, ci
fornisce interessanti informazioni sulle tribù che vivono in Gujarat ed in particolare sui Rabari, etnia nomade in continua
migrazione fra Rajasthan, Gujarat e Maharashtra alla ricerca di pascoli erbosi per le proprie greggi.
Giovedì 26 ottobre - Ci congediamo da mr. Harendrapal con un'altra piacevole
conversazione ricca di notizie sulla regione del Kutch e sulle etnie che vi abitano. Dobbiamo recarci ad Ambaji, punto di transito per
merci e persone tra Rajasthan e Gujarat, in quanto avendo percorso stradine secondarie, Ravi deve presentarsi al posto di polizia
per registrare l'ingresso e pagare la relativa tassa. Alla periferia della cittadina, ci imbattiamo in un accampamento
Rabaro. Gli uomini con gli animali si sono già messi in marcia, sono rimasti solo i più anziani con donne e bambini; stanno smontando
il campo e caricando le proprie masserizie su asini e cammelli. Assistiamo agli ultimi preparativi prima della partenza; sul dorso dei
cammelli sono state caricate brande in legno, su cui sono infilate brocche e padelle e su cui vengono fatti salire i bambini più
piccoli. Attendiamo che Ravi abbia espletato le varie formalità per dirigerci verso Palampur; lungo la strada alcune donne Garasia
hanno allestito un piccolo mercato per vendere i prodotti dei loro campi. Proseguiamo alla volta di Siddhpur; le strada larga ed in
buone condizioni ci consente di giungere rapidamente a Patan. La ricerca di un hotel si rivela subito ardua, non ci sono strutture per
turisti e lo standard d'igiene e pulizia in quelli per i locali lascia molto, molto a desiderare. Riusciamo a trovare una buona
sistemazione nei pressi della stazione degli autobus. Mentre il personale dell'hotel provvede ad una ulteriore ripulita delle stanze,
dedichiamo il pomeriggio alla visita di Ravi Ki Vav, un baoli, un pozzo a gradoni, luogo fresco e riparato dove
godere un poco di refrigerio durante i torridi mesi estivi, considerato il più bello e raffinato dell'intero Gujarat.
Venerdì 27 ottobre - Giornata di trasferimento quella odierna. Nostra prima
meta, distante una quarantina di chilometri da Patan, è Modhera. Alle 8,30 siamo all'ingresso del Tempio dedicato a Surya, il
dio Sole. Decorato con bassorilievi è circondato da un bel giardino; adiacente al tempio, il Ramakund, un baoli, un grande
pozzo a gradoni di forma rettangolare. Surya, è una delle divinità più antiche del pantheon hindu e a Lui sono dedicati
alcuni splendidi templi, tra cui quello di Konarak (da noi visitato nel 1998) in Orissa. Questo di Modhera, fu eretto nel 1026, ed è
costituito da un basamento su cui poggiano due strutture separate: il Sabhamandapa, il padiglione delle assemblee, ed il
santuario vero e proprio, costituito dal Gudhamandapa , un padiglione coperto da un tetto piramidale e dal
Garbhagriha, la cella che racchiude la statua di Surya, sormontata da una caratteristica torre nagara, la shikara.
I muri esterni sono decorati con bassorilievi raffiguranti il dio Surya sul carro a sette cavalli, divinità e figure mitiche.
Riprendiamo il viaggio; le strade, meno trafficate, sono in condizioni migliori rispetto a quelle del Rajasthan. Lunghi tratti li
percorriamo su strade a doppia carreggiata; in molti cantieri si sta lavorando alla costruzione della nuova autostrada.
Attraversiamo il Little Rann, un'immensa pianura ad alta concentrazione salina che durante la stagione
monsonica viene sommersa dalle acque dell'oceano e trasformano il Kutch in un isola. La scarsa vegetazione è
costituita da qualche basso arbusto e da radi ciuffi di erba gialla. Diverse carovane di Rabari si stanno spostando sotto il sole
cocente; mentre gli uomini avanzano con le greggi, le donne, affascinanti nei loro abiti scuri, seguono con i cammelli e tutti i loro
averi. Un contrasto stridente con gli enormi, moderni insediamenti industriali, che vediamo avvicinandoci a Bhuji.
Sabato 28 ottobre - Usciamo di primo mattino; negozi ed uffici sono
ancora chiusi e le strette vie della vecchia città fortificata ancora deserte. Le sole presenze sono le mucche alla ricerca di cibo
nei mucchi di immondizia, i cani randagi ed alcune donne intente a lavare i panni nelle acque del lago Hamirsar. Rientriamo in hotel;
Ravi ritiene che stiamo percorrendo troppi chilometri rispetto a quelli che lui ha pattuito con Pawan, il titolare della Payal
Travel. Gli accordi da me presi dapprima via e-mail e successivamente di persona con Pawan, prevedevano un percorso stabilito a
cui ci stiamo rigorosamente attenendo e pertanto dopo una telefonata chiarificatrice in agenzia, appianiamo il problema.
All'apertura degli uffici ci rechiamo al distretto di polizia per il rilascio dei permessi necessari per visitare i villaggi
situati nei pressi del confine pakistano; compilati i formulari in mezz'ora ci ritornano i permessi firmati, che mai nessuno
verificherà. Ci spostiamo a piedi per le vie di Bhuji; su alcuni palazzi di recente costruzione sono ancora ben visibili i
danni causati dal terremoto del 2001. Nel pomeriggio, ci rechiamo a Mandvi, antico porto sul mar Arabico, dove lungo il
porto canale, in animati cantieri nautici vengono costruite grosse imbarcazioni, veri e propri bastimenti, interamente in legno.
Sotto la direzione dei maestri d'ascia, decine di ragazzi eseguono i lavori ancora manualmente, con il solo ausilio di pochi
attrezzi e di un paranco, utilizzato per spostare i grossi tronchi che costituiscono l'ossatura principale del bastimento.
Domenica 29 ottobre - Con i permessi rilasciati ieri, ci dirigiamo
verso nord. Andiamo direttamente a Kuran, un villaggio situato a poche decine di chilometri dal confine pakistano, in un'area
abitata prevalentemente dalle etnie Mochi ed Harijan. Lungo la strada
mantenuta in ottime condizioni dagli uomini dell'esercito e che attraversa zone desertiche ancora allagate dalle piogge
monsoniche, alcune mandrie di dromedari, pascolano tra i radi cespugli sorvegliate da ragazzini dai tratti somatici pakistani.
I villaggi del Kutch, erano costituiti da capanne di fango con i tetti di paglia, decorate all'interno con dipinti che ricalcavano
i disegni dei tessuti utilizzati dalle donne per i loro abiti; purtroppo il terribile terremoto del 2001, ha colpito duramente e
distrutto quasi interamente questi villaggi, ricostruiti tutti uguali con anonime costruzioni ricoperte da tetti in lamiera
grazie ai contributi donati dalla Comunità Europea.
Dopo un primo approccio cordiale, da parte di alcune ragazze, veniamo esortati in modo molto sbrigativo dalle donne più anziane
che portano all'orecchio un grosso e caratteristico orecchino tondo, ad allontanarci. Decidiamo di visitare un altro
villaggio, per il quale ci è stato accordato il permesso.
Ci rechiamo a Khavda, grosso villaggio con un animato bazar, in cui si nota la quasi totale assenza di donne. Nelle strette viuzze
solo uomini e ragazzi. Anche qui, non siamo ben accetti; ancor più impensabile cercare di rubare qualche foto,
peraltro vietate anche dai permessi in nostro possesso. Il caldo opprimente e l'ostilità incontrata ci fanno desistere;
decidiamo di visitare ancora il villaggio di Bherandiala, e poi rientrare a Bhuji. Siamo in una zona abitata dai Jai; al villaggio,
poche case sparse su una superficie desertica molto estesa, incontriamo alcune donne, cordiali e sorridenti nei loro coloratissimi
abiti. Sulla strada principale, una famiglia di Rabari, sta attendendo la partenza del motorisciò che li riporterà al villaggio.
Ammiriamo i bambini, bellissimi nei loro coloratissimi e luccicanti abiti damascati. Nel pomeriggio rientriamo a Bhuji; ci rimane
ancora tempo per visitare l'Ania Mahal, il palazzo vecchio, ed il Prag Mahal, il palazzo nuovo. Edificati all'interno di un
cortile fortificato nel cuore della città vecchia, sono stati entrambi colpiti duramente dal terremoto; la mancanza di fondi
per i restauri e l'incuria stanno facendo il resto. Pipistrelli, piccioni e altri volatili sono ormai i padroni di saloni,
stanze, balconate; mobili ed arredi sono ricoperti dalla polvere e dai loro escrementi. I trofei, tigri e leoni imbalsamati,
vittime di regali battute di caccia sono ora divorati dalle tarme. Sedie e poltrone cadono a pezzi. Un vero sfacelo. Ed è
incomprensibile come si possa fare pagare un biglietto e lasciare entrare visitatori in un palazzo comunque pericolante, in cui
la parte superiore dell'edificio ed i torrioni sono attraversati da enormi crepe e che sembra possano venire giù da un momento
all'altro. Incredibile India!
Lunedì 30 ottobre - Lasciamo Bhuji, e ritorniamo verso nord, ripercorrendo
fino a Samakhial la strada già fatta all'andata. Attraversiamo nuovamente il Little Rann, questa volta su un lungo ponte, che
consente durante la stagione monsonica di collegare il Kutch con il resto del Gujarat. Siamo in una zona di saline; lungo la
strada è ammucchiato il sale ricavato dal prosciugamento delle vasche in cui si riversa l'acqua del mare. La statale 8A che stiamo
percorrendo attraversa una delle zone a più alta concentrazione industriale; da Morvi, città in cui sono concentrate le industrie
produttrici di piastrelle e di sanitari, fino a Wankaner è un susseguirsi ininterrotto di stabilimenti. L'aria è irrespirabile per
la presenza di fumi e polvere. Lasciata la statale eccoci nuovamente in autostrada; attraversiamo la piatta pianura coltivata a
cotone, mais e lenticchie che ci permette di arrivare ad Ahmedabad, la principale città del Gujarat.
Martedì 31 ottobre - Nel caotico traffico mattutino attraversiamo la città
per portarci al villaggio di Adalaj, dove si trova un baoli, o pozzo a gradoni costruito nel XV° secolo. Riccamente
scolpito, con bassorilievi a carattere prevalentemente floreale, si sviluppa su cinque piani con una piattaforma ottagonale sorretta
da 16 pilastri. Dopo la visita all'Adalaj Vav, ci rimettiamo in viaggio; il paesaggio è desolatamente piatto e monotono.
Oltrepassiamo la catena dei monti Aravalli e rientriamo nuovamente in Rajasthan. Eccoci ad Udaipur, la romantica cittadina dai
bianchi palazzi adagiati sulle sponde del lago Pichola. Ci rimane il tempo per scendere al lago; ci rechiamo ai ghat, donne e
bambini immersi nell'acqua, procedono alle abluzioni serali mentre il cielo è arrossato dal sole al tramonto.
Il resoconto da mercoledì 1 a sabato 11 novembre si trova nella sezione India - Rajasthan
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