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" On the road "

Un vero viaggio "on the road" tra Oceano Pacifico e Montagne Rocciose, attraverso California, Utah, Colorado, Arizona, Nevada e New Mexico. Un itinerario intenso, in cui la natura e le sue bellezze sono stati elementi preponderanti, in luoghi che seppur immortalati in decine di pellicole cinematografiche riescono sempre a regalare grandi emozioni, grazie ad una natura intatta e stupefacente che si mostra in alcuni dei suoi aspetti più incredibili. Un itinerario che ci ha portato a visitare non solamente scenografici parchi e colorati paesaggi desertici ma anche gli antichi pueblos delle popolazioni indie e gli avventurosi tracciati che riportano la memoria alla conquista del lontano West, senza tralasciare la fantasmagorica Las Vegas, l'iconica San Francisco e la mitica Route 66, la strada simbolo della vita degli anni cinquanta.


Sabato 28 settembre - In mattinata, sotto un cielo velato dalle nuvole, raggiungiamo l'aeroporto di Milano Malpensa dove alle 13,30 ci attende il volo Air Italy diretto a San Francisco. Lo scalo è affollato, molti sono i passeggeri in partenza, ma in un tempo ragionevole superiamo il controllo dei documenti. Non altrettanto possiamo dire del nostro arrivo al San Francisco International Airport, dove atterriamo alle 17,45; una coda interminabile al controllo dell’immigrazione dovuta all’arrivo contemporaneo di più voli, ci fa perdere oltre un’ora e trenta minuti. Recuperati i bagagli, utilizzando la navetta che collega le diverse aree dell’aerostazione, raggiungiamo il complesso che raggruppa gli uffici delle compagnie di autonoleggio, ma alla "Alamo", nonostante abbiano regolarmente ricevuto la nostra prenotazione con pagamento del noleggio anticipato, hanno esaurito i mezzi disponibili e dobbiamo attendere quasi un'ora prima che gli addetti riescano a recuperare un Suv, come da noi richiesto, presso un'altra compagnia. In compenso ci fanno un upgrade gratuito e ci consegnano una Jeep Compass Limited 4x4; finalmente dopo una lunga giornata, nel sostenuto traffico serale raggiungiamo nella vicina Belmont, l’hotel prenotato tramite internet.

Domenica 29 settembre - A causa della notevole differenza di fuso orario ci svegliamo ben prima dell’alba; decidiamo di non perdere tempo ed utilizzando la US-101 North già parecchio trafficata di primo mattino, raggiungiamo San Francisco. In città, il traffico è quasi inesistente, vuoi per l’ora, vuoi per la giornata festiva. Il quartiere di Haight Ashbury è la nostra prima destinazione odierna; ci fermiamo in Alamo square e dal parco adiacente, le cui panchine sono giacigli per homeless e meta degli abitanti del quartiere per la passeggiata mattutina dei propri cani, possiamo ammirare le Painted Ladies, abitazioni in stile vittoriano diventate attrazione turistica. Poste una accanto all’altra lungo Steiner street, colpiscono per la varietà di colori utilizzati per la tinteggiatura che esalta la raffinata eleganza delle facciate. Nello stesso quartiere ci rechiamo a vedere un altro complesso di magnifiche ville dipinte con tinte sgargianti: le Four Seasons Houses; situate all'incrocio tra Waller street e Masonic avenue, sono le più conosciute ma in tutta la zona sono presenti molti altri eleganti edifici risalenti al periodo vittoriano. Lasciato Haight Ashbury, in cui ritorneremo al termine del nostro viaggio per conoscere la seconda anima del quartiere che negli anni settanta era stato la culla della contro cultura hippy e punto di riferimento per "i figli dei fiori", ci dirigiamo verso l’oceano costeggiando il Golden Gate park; purtroppo il settore meridionale di Great Highway è chiuso al traffico automobilistico, per cui non ci resta che parcheggiare e spostarci a piedi sulla passeggiata che delimita la spiaggia flagellata dalle onde dell'oceano Pacifico. Risaliamo il promontorio di Cliff House; la vista su Ocean Beach è una delle più inaspettate, con la spiaggia che oltre le Seal Rocks, si estende, enorme e lunghissima, a perdita d’occhio. Proseguiamo nella nostra camminata e da Cliff House, palazzina vittoriana risalente alla metà del XIX° secolo fatta edificare da Adolph Sutro, colui che fece costruire anche il complesso di Sutro Baths, accediamo per uno scosceso sentiero alle rovine di quello che agli inizi del novecento era un frequentatissimo stabilimento balneare ed un acquario oceanografico. Ripresa l'auto proseguiamo lungo Clement street per scendere a El Camino del Mar, strada costiera e punto di partenza del sentiero che permette di raggiungere le gelide acque dell'oceano Pacifico. Con una piacevole passeggiata sulla spiaggia ci portiamo a North Baker Beach, dove dalla battigia è possibile vedere il Golden Gate Bridge, il ponte sospeso emblema di San Francisco, costruito sullo stretto che mette in comunicazione l'oceano con la baia di San Francisco e che collega la città con la parte meridionale della Contea di Marin. Lungo 2710 metri con una campata centrale di 1282 metri, quando fu ultimato nel 1937, era il più lungo ponte sospeso del mondo. Per ammirarne l'imponenza raggiungiamo Vista point, punto panoramico da cui si ha una vista frontale del ponte che utilizziamo per attraversare la baia e raggiungere il faro di Point Bonita, situato su un promontorio che si protende verso il mare aperto nelle Marin Headlands. Lasciata l'auto, ci incamminiamo lungo il panoramico sentiero asfaltato che snodandosi parallelo alle scogliere permette di vedere dall'alto le insenature sabbiose e gli scogli in cui vive una piccola comunità di leoni marini e che conduce al tunnel ed alla passerella che unisce la terraferma con l’isolotto di roccia lavica su cui nel 1855 venne costruito il faro. Siamo all'imboccatura della baia di San Francisco e dal faro è possibile godere di una vista a trecentosessanta gradi sull'oceano, sui faraglioni, sulla baia e sul profilo inconfondibile del Golden Gate bridge. A pomeriggio inoltrato ci rimettiamo in viaggio per raggiungere Sausalito e vedere il caratteristico quartiere di case galleggianti, per poi proseguire sulla US-101 e dopo aver riattraversato lo stretto sulla baia, utilizzando il ponte di Richmond, dirigerci verso Oakland e San Francisco. Il traffico è molto intenso soprattutto in prossimità della città; noi proseguiamo sull’autostrada alla volta di Modesto, per raggiungere intorno alle 19,30 la cittadina di Merced.

Lunedì 30 settembre - Anche stamane ci svegliamo molto presto e dopo un’ottima colazione a buffet ed aver fatto il pieno di benzina al distributore situato proprio di fronte al Days Inn Motel, lasciamo Merced. Siamo diretti al primo parco nazionale di questo nostro viaggio e percorrendo i lunghi rettilinei che attraversano piantagioni di alberi da frutta che si estendono lungo la CA-140 East ci dirigiamo verso le colline erbose di Mariposa, terreno di pascolo per le mandrie di vasti allevamenti di bestiame. Ci stiamo avvicinando alle montagne della Sierra Nevada ed al Parco Nazionale di Yosemite. Un territorio enorme, dichiarato parco nazionale nel 1890 che racchiude al suo interno grandi montagne di granito, valli glaciali, laghi, torrenti, cascate ed una foresta immensa, con milioni di alberi tra cui le sequoie giganti. Anche gli animali abbondano, soprattutto gli orsi, essendo la quasi totalità del territorio priva di insediamenti umani ed essendo il parco attraversato da una sola ed unica strada che rimane chiusa per neve quasi sette mesi all’anno. All'ingresso mostriamo ai rangers l’America National Pass, l'abbonamento che consente l'ingresso in moltissimi parchi statunitensi, acquistato ieri nell’ufficio del parco di Lands End; ora possiamo proseguire verso la Yosemite Valley, valle glaciale lunga circa tredici chilometri interamente coperta da pini e circondata da alte pareti di granito. Ed infatti dopo qualche chilometro, ecco profilarsi di fronte a noi la granitica parete verticale di El Capitan mentre in lontananza si staglia la sagoma arrotondata dello scenografico Half Dome, la montagna icona del parco. Percorriamo la strada che porta al Visitor Center, molti parcheggi sono già chiusi essendo al completo; anche se il parco è immenso, è qui che si concentra la stragrande maggioranza di visitatori. La giornata è stupenda ma fredda, con una temperatura a fondo valle di circa tre gradi, saliamo verso Glacier Point, attraversando un tratto di foresta distrutto da un incendio: gli alti alberi sono ridotti a steli consunti e bruciati. Dopo esserci fermati al view point di Washbrush Point dove si può godere di una vista spettacolare sull’Half Dome, raggiungiamo il parcheggio di Glacier Point. Nonostante la temperatura prossima agli zero gradi centigradi, c’è molta gente; i posti auto sono al completo e dobbiamo attendere qualche minuto per trovare uno stallo libero. Con una breve passeggiata raggiungiamo uno dei punti panoramici posti a perpendicolo sulla valle sottostante situata oltre mille metri più in basso e da dove la vista assai spettacolare spazia sull'intera vallata e sulle pareti rocciose che caratterizzano il parco di Yosemite. Ritornando verso fondo valle facciamo una breve sosta al punto panoramico di Tunnel View per poi proseguire lungo la CA-120 East, strada conosciuta anche con il nome di Tioga road. Fortunatamente è stata riaperta dopo una tempesta di neve prevista per la mattinata; in effetti salendo verso Tuoluonme la sede stradale presenta alcuni tratti ghiacciati e Tuoluonme Meadow è ancora irraggiungibile a causa della neve. Noi proseguiamo lungo la panoramica Tioga road che tortuosa attraversa boschi e pinete regalandoci di tanto in tanto panorami spettacolari; dopo esserci fermati al punto panoramico di Olmsted Point, dove dalle piatte rocce bianche si gode una vista eccezionale sui picchi delle valli circostanti, affrontando una curva un orso improvvisamente ci attraversa la strada saltando sulla carreggiata dal bosco sovrastante per sparire rapidamente tra la vegetazione dall’altro lato della strada. Oltrepassato il Tioga pass scendiamo verso il Lago Mono, piccolo specchio d'acqua alcalino, per recarci alla South Tufa Area e vedere le incredibili rocce calcaree, guglie di carbonato di calcio e massi di tufo formatesi dall’interazione di sorgenti d'acqua dolce con le acque estremamente salate del lago, che come statue si ergono dalla superficie lacustre rendendone le sponde spettacolarmente uniche. Facciamo quindi ritorno a Lee Vining ed utilizzando la US-395 North raggiungiamo Bridgeport dove, dopo aver fatto rifornimento di carburante, ci fermiamo per la notte nel bungalow prenotato in precedenza.

Martedì 1 ottobre - Sveglia di buon ora ed accolti da una temperatura invernale, meno tre gradi centigradi alle ore 8, lasciamo i bungalows del Big Meadow per dirigerci, percorrendo la US-395 e la CA-270 East, a Bodie. Quando arriviamo l’area è ancora chiusa, una ranger sta effettuando l’alzabandiera; pochi minuti di attesa, poi pagato il biglietto, possiamo entrare. Lasciata l’auto ci incamminiamo lungo le vie sterrate su cui si affacciano gli edifici sopravvissuti al catastrofico incendio del 1932 che distrusse il 90% delle case del vecchio borgo di minatori, a cui William Bodey diede il proprio nome. Nelle colline a nord del Lago Mono, Bodey aveva scoperto nel 1859 dei piccoli giacimenti di oro, ma solo nel 1861 vi si stabilirono i primi minatori; poi nel 1877 la miniera fu acquistata dalla Standard Company e la gente accorse numerosa e Bodie si trasformò da villaggio abitato da poche dozzine di avventurieri in una città in piena espansione che crebbe fino ad avere nel 1880 una popolazione di quasi diecimila abitanti. Oggi, è una città fantasma, rimasta più o meno la stessa di cinquanta anni fa quando lo Stato la rilevò, con i vecchi edifici mantenuti nelle condizioni in cui furono abbandonati dagli ultimi residenti quando se ne andarono. Ci aggiriamo tra le abitazioni; alcune in buone condizioni hanno ancora al loro interno arredi e suppellettili ormai consunti dall'impietoso scorrere del tempo, mentre altre sono baracche in legno in condizioni ormai decrepite. Visitato il villaggio saliamo al piccolo cimitero situato sulla collina a poche decine di metri dalle case; dopo tre ore trascorse passeggiando tra vecchi edifici che nei loro giorni migliori hanno ospitato hotel, negozi, bordelli, scuole e saloon, siamo nuovamente all’auto; facciamo ritorno a Lee Vining percorrendo questa volta la Cottonwood canyon road. Raggiunte le sponde del lago Mono ci fermiamo a vedere le rocce calcaree di County park per poi proseguire lungo la US-395 South alla volta di Bishop. Facciamo una breve deviazione lungo la US-6 East fino a Laws per vedere un piccolo museo ferroviario che ospita la stazione del paese ed un convoglio alla cui testa c’è una vecchia locomotiva Slim Princess appartenuta alla Carson & Colorado Railways, la compagnia che gestì il servizio ferroviario dal 1883 al 1960 quando la vecchia linea a scartamento ridotto venne abbandonata. Ritornati a Bishop proseguiamo sulla US-395 South fino al Manzanar historic site, campo di rieducazione per cittadini americani di origine giapponese che lì furono rinchiusi dopo l’attacco di Pearl Harbour avvenuto nel 1942 nel corso della seconda guerra mondiale. I vari blocks sono già chiusi, non possiamo fare altro che vederli dall’esterno e di fare un giro in auto attraverso quello che una volta era l’estesissimo campo di prigionia prima di proseguire per Lone Pine dove arriviamo alle 18,15.

Mercoledì 2 ottobre - Dopo aver fatto il pieno di carburante, poco prima delle 8 lasciamo il motel in cui abbiamo pernottato e lasciata Lone Pine imbocchiamo la CA-136 East, la strada che porta alla Death Valley. Ci fermiamo a Keeler, piccolo borgo costituito in prevalenza da roulotte e case mobili sulle rive dell'ormai prosciugato lago di Owens, dove ha inizio la ripida strada sterrata che si inerpica lungo il fianco della montagna tra canyon, pareti rocciose e radi alberi di joshua tree regalando panorami fantastici sul lago sottostante e sulla catena delle Rocky Mountains che si stagliano in lontananza. Poco dopo le 9 siamo alla miniera di Cerro Gordo, minuscolo borgo di minatori. Ci viene incontro il guardiano della miniera che funge anche da guida ed accompagnatore nella visita del sito. Ci indirizza dapprima all'American Hotel, un vecchio albergo con saloon dove nel 1892 durante una partita a carte un tale, la cui taglia è appesa alle pareti, uccise con un colpo di pistola un’altro giocatore. E’ poi la volta del museo e di altre vecchie costruzioni in legno e lamiera che custodiscono gli attrezzi usati in miniera ed in cui sono esposti campioni di argento e di altri minerali che qui venivano estratti. Terminata la visita degli edifici, proseguiamo da soli l'esplorazione dell'area mineraria in cui sono ancora presenti la miniera, chiusa e rigorosamente off-limits, le rotaie per i vagoncini ed i punti di scarico della roccia frantumata. Dopo due ore passate, noi unici visitatori, alla scoperta del sito minerario, lasciamo Cerro Gordo. Ritornati sulle sponde del lago di Owens proseguiamo sulla CA-190 East verso le prime propaggini della Valle della Morte; ci fermiamo al Father Crowley Point, punto panoramico da cui si ha una vista multicolore sul canyon sottostante, prima di scendere nella piana desertica di Panamint Springs. La strada l’attraversa rettilinea per poi risalire verso il Towne pass, che superiamo per scendere a Stovepipe Wells e raggiungere Mesquite dove, lasciata l’auto, ci addentriamo a piedi fra le dune accompagnati da un vento caldo ed una temperatura di trentadue gradi centigradi. Proseguiamo quindi fino al Visitor center di Furnace Creek dove ci registriamo ottenendo dai rangers una mappa del parco; ora possiamo iniziare l'esplorazione della Valle della Morte. Cominciamo da Zabrinskie point, luogo simbolo della Death Valley, un’impressionante distesa di calanchi e colline scoscese, color bianco, ocra e marrone, un paesaggio di badlands, profondamente erose dall’acqua e dal vento, sovrastate dal suggestivo picco di Manly Beacon. E' da Christian Brevoort Zabriskie, capo della più importante miniera di borace della Valle della Morte che il più conosciuto e frequentato dei viewpoint prende il nome ed è qui che nel 1969 Michelangelo Antonioni girò la scena più famosa dell’omonimo film. Dopo aver ammirato il panorama dalla terrazza, iniziamo il trekking della durata di circa due ore incluse le molte soste fotografiche, del Badlands Loop che ha inizio proprio da qui. Un giro ad anello che iniziamo camminando all'interno di un wash, il letto asciutto di un fiume, il Gower Gulch, e che concludiamo arrampicandoci sulle collinette di terra colorata. In auto ci portiamo all’Artist drive, strada panoramica a senso unico lunga quasi quattordici chilometri che si snoda sinuosa ad est della Badwater Road, circondata da fotogeniche rocce di origine vulcanica, da calanchi e colorate colline sedimentarie in un paesaggio a tratti lunare; ci fermiamo all’Artist Palette che vediamo solo parzialmente illuminata dal sole in quanto il tramonto ci sorprende alle 18,10. Calando il sole dietro le montagne circostanti la zona si ritrova in ombra prima delle 18,30, l'orario riportato ovunque; ora non ci resta che percorrere l’ultimo tratto dell’Artist drive e con le tenebre che calano velocemente dirigerci a Beatty dove ci fermiamo per la notte.

Giovedì 3 ottobre - Avendo deciso di dedicare l'intera giornata odierna alla visita di alcuni dei luoghi meno frequentati della Death Valley, lasciamo Beatty per raggiungere la Titus canyon road, quarantatre chilometri di strada spettacolare, percorribile in un solo senso di marcia, che attraversa un territorio impervio, desolato, inospitale e completamente disabitato di una delle aree più selvagge del parco nazionale della Valle della Morte. Dopo un interminabile rettilineo lungo quasi dieci chilometri che si inoltra nella Amargosa Valley, la strada dal polveroso fondo in ghiaia, si addentra nella larga vallata che porta ai primi contrafforti delle Grapevine Mountains per raggiungere tra scoscesi rilievi montuosi e panorami stupendi il White Pass. Con ampi tornanti scendiamo nel Titanothere Canyon, così chiamato perché nel 1933 qui venne ritrovato il fossile di un animale risalente a trenta milioni di anni fa, per risalire il versante opposto e raggiungere il Red Pass, uno dei punti maggiormente panoramici dell'intero percorso, grazie alla sua altitudine di 1600 metri. Dal passo la strada si fa più stretta e tortuosa scendendo ripida alle rovine del minuscolo insediamento minerario di Leadfield, rimasto attivo pochi mesi tra il 1926 ed il 1927, quando trecento minatori vi si stabilirono e sfruttarono fino all'esaurimento le miniere di piombo. Lasciata l'auto ci addentriamo tra quel poco che è rimasto: gli accessi alle miniere, gli scarti del materiale estrattivo, una baracca ed i resti di quello fu l’ufficio postale: una semplice costruzione in lamiera. Lasciata l'area mineraria affrontiamo le gole del Leadfield Canyon, pareti di roccia alte parecchie decine di metri che si elevano ai lati della strada per poi addentrarci in una profonda, scenografica e strettissima gola: il Titus Canyon. Il passaggio, una serie continua di curve, si fa più stretto e solo pochi metri separano le opposte pareti del canyon; dopo qualche centinaio di metri improvvisamente il canyon si apre e dopo tre ore e trenta minuti siamo nuovamente sull'asfalto di Scotty’s Castle Road, la strada che conduce verso la parte più settentrionale della Death Valley dove si trova un'altra delle nostre mete odierne: l'Ubehebe Crater. Largo circa ottocento metri e profondo centocinquanta è il più imponente cratere vulcanico presente all’interno della Death Valley oltre ad essere un luogo sacro per gli Indiani della tribù Timbisha Shoshone. Le credenze locali vogliono che proprio dall’interno del cratere di Ubehebe gli esseri umani per la prima volta emersero sulla faccia della Terra per poi disperdersi in direzione dei quattro punti cardinali. Lasciata l'auto nel parcheggio situato nelle immediate vicinanze della bocca vulcanica iniziamo un trekking che ci permette di apprezzare uno dei panorami più inaspettati della Death Valley: un enorme cratere che si eleva dal fondo della valle, fiancheggiato da un secondo cratere più piccolo. Camminando sul bordo del cratere maggiore raggiungiamo dapprima il piccolo ma suggestivo Little Hebe crater, caratterizzato da scenografiche rocce rosse e nere di origine vulcanica per poi completare, camminando lungo la linea di cresta, il periplo dell'Ubehebe e raggiungere nuovamente l'auto. Ritornando verso il Visitor center di Furnace creek, ci fermiamo al Borax museum, il luogo che ospita le rovine della cisterna dove il borace veniva lavorato, due carri ed un vagone cisterna utilizzati dai convogli dei twenty-mule teams, le carovane composte da diciotto muli, due cavalli e dieci grossi carri che trasportavano il borace estratto dalle miniere della Valle della Morte fino ai binari della ferrovia situati in quella che è l’attuale Mojave National Preserve. Convogli che hanno dato il nome anche al Twenty mule canyon, una stretta strada sterrata percorribile in auto, abbastanza insignificante soprattutto se si è effettuato il trekking alle Badlands, che penetra all’interno delle colline argillose che caratterizzano la sezione orientale del parco. All'uscita del canyon, percorrendo l'Artist drive ci rechiamo nuovamente all'Artist Palette per rivedere le rocce e le colline sedimentarie, i cui colori hanno assunto sfumature più vivaci grazie ai raggi del sole di metà pomeriggio. Proseguendo lungo la Badwater road raggiungiamo il Badwater basin; qui migliaia di anni fa c’era un lago, oggi una vasta ed abbagliante distesa di sale situata ottantasei metri sotto il livello del mare, il punto più basso del Nord America. Dal parcheggio una passerella in legno permette di accedere alla piana di sale e grazie alla temperatura gradevole (questo è uno dei punti dove si registrano le temperature più elevate del pianeta) ci inoltriamo per un paio di chilometri nell'abbagliante distesa di sale fino a raggiungere le pressure ridges, le grandi formelle esagonali di sale che qui si mostrano intatte ed in tutta la loro bellezza. Nelle calde luci del tramonto grazie al sole che sta scendendo dietro le montagne a ovest della valle ci spostiamo al vicino Devil's Golf Course; pur trovandosi solo a qualche chilometro dalla piatta distesa di Badwater presenta un paesaggio completamente differente, qui, il vento, le variazioni di temperatura e millenni di erosione hanno scolpito la superficie dell’antico lago salato creando una distesa di pinnacoli di sale pietrificato. Con il buio facciamo ritorno a Beatty per la nostra ultima notte nella Death Valley.

Venerdì 4 ottobre - Raggiungiamo nuovamente la Valle della Morte percorrendo la US-95 South, la strada nazionale che attraversa la desertica pianura di Amargosa e permette di raggiungere rapidamente il Dante’s peak eccezionale punto panoramico in cima alle Black Mountains, che dai suoi 1669 metri di altitudine regala vedute grandiose sulle saline di Badwater e sull’intera piana della Death Valley. Ci arriviamo alle 9,30; a piedi raggiungiamo i due viewpoint situati alle estremità del parcheggio. Sono uno più spettacolare dell'altro, ma è il vero e proprio Dante’s Peak quello che a picco sul sottostante Badwater Basin offre vedute fenomenali sulla sezione centrale della valle e consente di ammirare nello stesso momento il punto più basso del Nord America e la vetta più elevata della Valle della Morte, il Telescope Peak che con i suoi 3368 metri si staglia dalla parte opposta del bacino di Badwater. Ci fermiamo un’ora, poi scendiamo al Badwater Basin ed attraversiamo tutta la piana percorrendo la strada che la fiancheggia; dopo una breve sosta alle rovine della miniera di Ashford Mills proseguiamo alla volta di Shohshone e Pahrump. Qui ha termine la strada a corsia unica; ci immettiamo nella NV-160 East, la strada a due corsie che conduce a Las Vegas. Avvicinandoci alla città il traffico aumenta, si fa via via più frenetico e caotico nonostante l’autostrada, che transita vicino ad alcuni degli hotel-casinò più celebri, sia a sei corsie per senso di marcia. Non ci fermiamo nella capitale del gioco d'azzardo che visiteremo nel corso del viaggio di ritorno in California ma proseguiamo sulla Interstate I-15, l'autostrada che collega gli stati di Utah e Nevada e che ci regala tratti molto panoramici come quello che attraversa la gola del Virgin river oppure il tratto tra le cittadine di St. George ed Hurricane. Passando dal Nevada allo Utah perdiamo un'ora a causa del differente fuso orario; alle 19 ora locale giungiamo a La Verkin, dove trascorriamo la notte nella bella suite di Karina prenotata tramite Airbnb.

Sabato 5 ottobre - Comincia ad albeggiare quando lasciamo La Verkin per dirigerci verso Springdale e raggiungere la nostra destinazione odierna: lo Zion National Park, parco di montagna, un tempo abitato dagli Anasazi e da diverse tribù Paiute, caratterizzato da un vasto altopiano solcato da stretti canyon e da una profonda valle centrale creata dall'erosione delle acque del Virgin River e dominata da alte pareti verticali. Alle 8 siamo all'ingresso del parco; grazie alle poche auto in coda, riusciamo a trovare posto al comodo parcheggio del Visitor center. Una breve attesa e saliamo sulla navetta gratuita che percorre lo Zion canyon, la valle più scenografica e visitata del parco, il cui accesso è possibile solo tramite gli autobus navetta. Pochi minuti prima delle 9 siamo alla fermata di The Grotto Trailhead, punto di partenza di uno dei trekking che abbiamo deciso di fare oggi. Attraversato il fiume, il sentiero percorre un falsopiano sabbioso per poi salire deciso con tornanti pavimentati in cemento, al Refrigerator Canyon; un breve tratto in falsopiano e si affronta un’ultima ripida salita con una ventina di tornanti in sequenza, i tornanti di Walter’s Wigglets, che danno accesso alla terrazza naturale di Scout Outlook, punto di partenza del pericoloso ed esposto sentiero che porta all'Angels Landing. Molti escursionisti si accalcano alle funi che fissate alle rocce forniscono un appiglio a chi vuole proseguire fino alla cima; noi, vista la ressa, ci fermiamo una trentina di minuti sulle rocce della spianata per ammirare lo splendido panorama in compagnia di alcuni scoiattoli prima di fare ritorno a valle. Alle 12 siamo nuovamente alla fermata di The Grotto dove prendiamo lo shuttle che in meno di trenta minuti ci riporta al visitor center. Risaliti in auto ci spostiamo in un'altra zona del parco per effettuare un breve trekking che ci porterà ad un altro dei punti panoramici che si affacciano sul canyon: il Canyon Overlook Trail. Dopo aver avuto parecchie difficoltà di parcheggio a causa dei tanti visitatori ci incamminiamo lungo il sentiero, a tratti stretto e dal fondo roccioso ed irregolare, che ha come punto di arrivo lo spettacolare punto panoramico da cui la vista si estende sul Pine Creek Canyon e sui monti circostanti. Ritornati all'auto, proseguiamo lungo la panoramica Mount Carmel Highway e ci dirigiamo attraverso pinete e boschi di betulle con le foglie ormai gialle al Cedar Breaks National Monument, altopiano ricoperto da vegetazione situato ad oltre 3000 metri d'altezza sul Markagunt Plateau nel cuore dello Utah meridionale, che presenta una impressionante ed inaspettata spaccatura che forma un anfiteatro naturale profondo oltre seicento metri formatosi in milioni di anni a causa dell’erosione di acqua, ghiaccio e vento. All’interno archi naturali, guglie, pinnacoli che ricordano molto gli hoodoos del vicino Bryce Canyon ed in cui le rocce ricche di ferro e manganese danno vita a forme spettacolari dai bellissimi colori, che creano uno spettacolo naturale grandioso. Sono quattro i viewpoints di Cedar Breaks: tre di questi li raggiungiamo in auto; al quarto, Spectra point, vi giungiamo a piedi con una breve camminata lungo il bordo dell'anfiteatro che ci regala vedute stupende.

Domenica 6 ottobre - Alle 7,30 lasciamo Panguitch, dove abbiamo trascorso la notte, per imboccare la UT-12 East una delle strade più scenografiche degli Stati Uniti. Dopo qualche chilometro la strada si addentra nel Red Canyon che attraversiamo transitando in auto sotto i due caratteristici tunnel scavati nella roccia rossa degli hoodoos, piacevole anteprima del Bryce Canyon National Park, il parco a cui siamo diretti. Situato ad un'altitudine di circa 2400 metri, venne istituito nel 1928 e deve il suo nome al mormone Ebenezer Bryce; non si tratta però di un canyon, ma bensì del bordo di un altopiano in cui le formazioni rocciose creano una serie di incredibili anfiteatri che digradano dal limitare della foresta per decine di chilometri verso gli spazi desertici dell’Escalante. All'ingresso del parco dove ai rangers esibiamo l'America National Pass, fortunatamente, poche sono le auto in coda e parecchi gli stalli ancora disponibili nel parcheggio di Sunset Point. Alle 8,30 siamo pronti per iniziare il trekking che ci siamo prefissati di fare e che permette di addentrarsi nel cuore dell'anfiteatro percorrendo per intero una sezione particolarmente suggestiva, il Peekaboo Loop. Da Sunset Point scendiamo all’interno dell’anfiteatro lungo il sentiero che scende ripido la stretta gola incassata fra le pareti di roccia dello scenografico Wall Street e dopo essere transitati sotto rocce frastagliate e coloratissime, pinnacoli e cunicoli, percorriamo lo spettacolare anello del Peekaboo Trail, un alternarsi continuo di saliscendi con numerosi e ripidi cambi di altitudine su un largo sentiero che si snoda tra camini delle fate che sembrano figure pietrificate e pareti di arenaria quali Wall of Windows e The Cathedral. Terminiamo il trekking risalendo, dopo una decina di chilometri, a Sunset Point utilizzando il sentiero che si arrampica lungo il ripido crinale di Two Bridges. Dopo quattro ore e quarantacinque minuti, tempo che include le molte soste fotografiche, siamo nuovamente all'auto che utilizziamo per raggiungere due viewpoint situati entrambi lungo il bordo dell’anfiteatro, il Sunrise Point ed il Bryce Point, dove si può ammirare il panorama offerto da hoodoos dalle forme stravaganti. Lasciato il Bryce ci trasferiamo percorrendo la UT-12 East al vicino Kodachrome Basin State Park; piccolo parco statale con formazioni rocciose, pinnacoli, guglie monolitiche, camini di arenaria e una grande varietà di macigni dalle forme surreali che si stagliano nel cielo dello Utah. Sono proprio i magnifici colori, che cambiano a seconda delle ore del giorno, ad aver suggerito nel 1949 agli esploratori di National Geographic il nome Kodachrome, poi approvato dalla Kodak Film e divenuto il nome definitivo del parco. Anche qui facciamo due brevi trekking: l'Angel’s Landing, un sentiero in sabbia e roccia tra calanchi e canyon, bello e panoramico che dopo un inizio pianeggiante sale, stretto e ripido fino a raggiungere la sommità di un caratteristico altopiano di arenaria che si sopraeleva di una cinquantina di metri sul suolo sottostante ed il Sentinel Trail meno interessante e poco scenografico; un alternarsi di brevi saliscendi su uno stretto sentiero sabbioso che porta a quello che qualche tempo fa era lo Shakespeare Arch, oggi purtroppo crollato. Prima di fare rientro a Panguitch abbiamo ancora il tempo, nonostante il sole sia ormai molto basso, di recarci percorrendo una pista sterrata al Chimney Rock, monolito in pietra che maestoso si innalza sulla radura erbosa del parco.

Lunedì 7 ottobre - Di buon ora con una temperatura di meno otto gradi centigradi lasciamo Panguitch, cittadina fondata dai mormoni, per percorrere nuovamente la UT-12 East, la cui parte iniziale avevamo già percorso ieri per raggiungere il Kodachrome Basin State Park; oggi, essendo diretti a Torrey, la percorriamo integralmente. E' considerata una delle strade più panoramiche degli Stati Uniti per il susseguirsi di paesaggi stupendi; un alternarsi di canyon, boschi, formazioni rocciose ed incontaminate lande rocciose dove i contrasti cromatici mutano chilometro dopo chilometro. Ci fermiamo all'Head of the Rocks Overlook che offre uno splendido panorama sull’Escalante canyon e nelle graziose cittadine di Escalante e di Boulder, dove la UT-12 ha termine; la naturale prosecuzione è la scenic byway UT-24 che percorriamo fino a Torrey, impiegando per il tragitto molto più tempo di quanto preventivato per via delle molte soste. A mezzogiorno giungiamo al Capitol Reef National Park e da Fruita ci dirigiamo verso il Capitol Gorge, percorrendo la scenic drive il cui ultimo tratto sterrato è incassato tra ripide pareti di roccia rossa. Lasciata l'auto ci addentriamo nella gola, un breve trekking di due ore e quindici minuti sul fondo ghiaioso di un wash, un fiume in secca, per raggiungere il Pioneer Register, un restringimento del canyon sulle cui pareti i pionieri mormoni ed i primi coloni hanno inciso nella roccia i loro nomi e le date in cui hanno affrontato l'attraversamento della gola a testimonianza del loro passaggio lungo questa rotta. Una zona impervia e selvaggia, habitat ideale per rettili ed animali selvatici, come ci conferma la presenza di un serpente a sonagli che avvistiamo lungo il cammino prima di salire alle rocce che nascondono la marmitta con le piscine naturali che servivano da riserva d'acqua per uomini ed animali. A metà pomeriggio siamo nuovamente alla nostra auto e ritornati sulla panoramica UT-24 East, oltrepassiamo Hainskville per raggiungere il Goblins Valley State Park. Un territorio desertico attraverso il quale si può camminare liberamente; un’anfiteatro naturale cosparso di una miriade di rocce di colore rosso e dalla forma tozza, i goblins, di piccoli camini delle fate e di massicci monumenti naturali dalle forme più evocative, come Molly’s Castle o le Three Sisters che testimoniano una storia geologica antichissima. Noi ci restiamo fino a quando il repentino calare del sole ci regala un fantastico tramonto.

Martedì 8 ottobre - Dopo aver trascorso la notte nella cittadina di Green River proseguiamo lungo l'interstatale I-70 fino al villaggio di Cisco dove ha inizio la UT-128, che conosciuta anche come Upper Colorado scenic drive, scorre incassata tra le pareti rocciose delle mese costeggiando il fiume Colorado e che percorriamo lentamente per goderci appieno gli stupendi paesaggi che attraversiamo. Arrivati a Moab ci dirigiamo verso il più grande parco nazionale dello Utah il Canyonlands National Park; una superficie immensa, millequattrocento chilometri quadrati divisi in tre distinte aree naturali: Island in the Sky, Needles e The Maze, zona remota raramente battuta dal turismo. A mezzogiorno siamo all'ingresso di Island in the Sky; percorriamo un primo breve tratto della Grand View road, strada che costeggia il bordo dell'altopiano che si erge imponente sulla sterminata zona desertica sottostante, dove le rocce sono state plasmate dall’azione instancabile di due fiumi, il Colorado ed il Green River, che nel corso dei secoli, hanno modellato la roccia formando canyon e gole vertiginose dalle forme surreali che si estendono a perdita d’occhio. Dopo aver chiesto informazioni ai rangers del Visitor center in merito alla percorribilità delle piste secondarie, iniziamo la discesa lungo la Shafer road, strada sterrata estremamente ripida ed esposta che a tornanti scende lungo il versante occidentale del canyon fino ad incrociare la pista di White Rim che percorriamo per un breve tratto per raggiungere il Gooseneck Overlook, punto panoramico a strapiombo sul fiume Colorado. Ritornati sulla Shafer road, imbocchiamo la Potash road, la pista che raggiunge Moab via Pashone costeggiando sul limitare della mesa il fiume Colorado; noi la seguiamo fino al Thelma & Louise point, il luogo in cui venne girata la scena finale del film omonimo, spettacolare punto a strapiombo sulle anse del fiume. Ripercorrendo in senso contrario i ripidi tornanti della Shafer road risaliamo sull'altopiano e dedichiamo il resto del pomeriggio alla visita dei luoghi di maggiore interesse, quasi tutti panoramici, che si trovano lungo la Grand View road, la strada principale del parco. Iniziamo da Atzec Butte, dove con un breve trekking raggiungiamo la prima butte, una collina scoscesa dalla cima piatta, sotto la cui sommità ci sono le rovine di vecchi granai per proseguire con l’Upheaval Dome, punto panoramico raggiungibile con una breve camminata che ci porta al punto in cui si può vedere il cratere provocato dalla caduta di un meteorite. Ci dirigiamo quindi al Grand Viewpoint Overlook, situato all’estremità meridionale della mesa, il punto in cui ha termine la strada e dove è possibile apprezzare un meraviglioso panorama sulla parte più meridionale di Canyonlands, sulle mese e sul territorio sottostante fino alla lontana area di Needles. E' poi la volta del Buck Canyon Overlook da cui il canyon omonimo, incorniciato sullo sfondo dalle La Sal Mountains, appare come una frattura improvvisa del terreno. Terminiamo la giornata al Green River Overlook, altro punto panoramico che si affaccia sul lato occidentale del parco; qui ci godiamo uno splendido tramonto con gli ultimi radenti raggi di sole che fanno ulteriormente risaltare le asprezze di una natura rude e selvaggia segnata profondamente dal fiume Green River e dai canyon che questi ha creato.

Mercoledì 9 ottobre - Essendo il mese di ottobre un periodo in cui si può trovare ancora parecchio afflusso di auto all’Arches National Park, parco con la maggiore concentrazione di archi naturali al mondo, lasciamo Moab alle 8. Al nostro arrivo dopo circa trenta minuti, troviamo una breve coda; pochi minuti d'attesa ed esibita la tessera annuale dei parchi americani, iniziamo a salire fra alte pareti rocciose, lungo la Arches scenic drive, bellissima strada da cui si possono ammirare splendidi panorami. Ci fermiamo ai punti di sosta di Park Avenue e di Courthouse Towers, entrambi situati nella prima grande area che incontriamo poco oltre l'ingresso del parco, l’unica che non presenta archi di arenaria. A caratterizzarla sono i monoliti: Tower of Babel, The Organ, Sheep Rock e Three Gossips; imponenti e slanciati si ergono dal terreno sabbioso tra la rada vegetazione. Proseguendo verso nord lasciamo la strada principale per dirigerci lungo Windows road al parcheggio di Double Arch e raggiungere con una breve camminata lungo un sentiero sabbioso fra bassi cespugli, un maestoso arco la cui peculiarità è quella di avere una doppia volta che merita di essere vista al mattino per godere delle migliori condizioni di luce. In questa area del parco ci ritorneremo ancora per ammirare i monoliti e gli archi che si possono apprezzare meglio con la luce pomeridiana. Noi proseguiamo il nostro giro percorrendo per intero l'Arches scenic drive, per raggiungere un'area estremamente suggestiva, caratterizzata da una elevata concentrazione di archi: Devil's Garden. E' una zona molto scenografica e per questo la ricerca di uno stallo per l'auto si rivela particolarmente difficile; qui, sono parecchi gli archi che si possono vedere lungo il tratto iniziale del largo ed agevole camminamento dal fondo in ghiaia che permette di raggiungere senza grande fatica Landscape Arch, uno degli archi di arenaria più lunghi al mondo, grazie ai novanta metri di lunghezza, e particolare, per la sua forma sottile. Solo oltrepassato il Landscape Arch l'afflusso di gente diminuisce in modo considerevole, il sentiero si fa più difficile ed in un alternarsi di tratti sabbiosi e di tratti che si inerpicano lungo i costoni di roccia risaliamo la mesa; un'ascesa lunga e a tratti faticosa, ricompensata dai panorami e dagli archi che si ha modo di ammirare lungo il percorso: il Partition Arch, il Navajo Arch, il Double O Arch. Ritorniamo al parcheggio percorrendo a ritroso lo stesso sentiero e dopo tre ore siamo nuovamente all'auto; percorriamo nuovamente la scenic drive, per recarci, dopo essere transitati nei pressi dello Skyline Arch, al panoramico Garden of Eden ed alle imponenti conformazioni rocciose di Parade of Elephants e Cove of Caves, visibili entrambe dalla strada, fino a raggiungere il parcheggio situato al termine di Windows road. Tralasciamo il Double Arch già ammirato nella luce mattutina e con una breve passeggiata ci dirigiamo al North ed al South Windows Arch, due archi adiacenti che si possono vedere appaiati recandosi al Turret Arch, un arco sovrastato da una torre e che ammiriamo nella più favorevole luce pomeridiana. Ripresa l'auto ci fermiamo nei pressi di Balanced Rock, un masso alto oltre sedici metri appoggiato in posizione precaria su un pinnacolo di arenaria, prima di raggiungere l'Upper Delicate Arch viewpoint. Dopo una giornata soleggiata ma molto ventosa il cielo si sta coprendo di nuvole; ormai è troppo tardi per affrontare il sentiero che conduce al Delicate Arch, ci accontentiamo di salire su un picco roccioso dove è posto il viewpoint da cui si ha una veduta scenografica, seppur abbastanza da lontano, dell’arco e dell'area circostante.

Giovedì 10 ottobre - Con una temperatura di soli due gradi centigradi lasciamo Monticello; un'ora di strada ci separa da The Needles, la seconda area naturale del Canyonlands National Park conosciuta per la fitta presenza di pilastri di arenaria, di butte, di mese e di formazioni rocciose dalle forme più svariate. Oltrepassato il Visitor center, percorriamo interamente la scenic drive, la strada panoramica asfaltata che ha termine al Big Spring Canyon Overlook; a piedi scendiamo nel canyon per risalire lungo il crinale opposto. Una breve camminata durata poco più di quaranta minuti, fra pinnacoli di arenaria e rocce a fungo, a cui facciamo seguire un altro breve trekking per raggiungere il Pothpole point, così chiamato perchè la mesa rocciosa presenta innumerevoli buche dalle dimensioni più disparate che nei giorni di pioggia si riempiono d’acqua, ma che noi troviamo completamente asciutte. Percorrendo a ritroso la scenic road raggiungiamo il parcheggio di Cave Springs, da cui si diparte il sentiero che contorna una cengia rocciosa al di sotto della quale si possono vedere alcune grotte utilizzate dai cow-boy come rifugio e che ancora oggi ospitano vecchi oggetti e manufatti. Ci spostiamo quindi nella vicina area di Roadside ruins per vedere le rovine di un vecchio granaio inglobato sotto la cengia rocciosa, testimonianza della vita in questi territori aspri e desolati dei nativi d'America. Ripresa l'auto ci avventuriamo lungo la pista di Salt Creek, uno stretto tratturo dal fondo sabbioso con la presenza di qualche spuntone roccioso, che stretta si snoda attraverso la prateria e che percorriamo fino a Lower jump, il punto in cui un corso d'acqua, che noi troviamo asciutto grazie alle giornate di sole avute finora, si getta in un profondo canyon. Un angolo del parco poco frequentato facilmente raggiungibile tramite una pista dove non è necessaria, almeno per il tratto da noi percorso, una vettura a quattro ruote motrici ma solamente una vettura alta da terra. Nel pomeriggio, lasciato il parco, percorrendo la UT-211 East e la US-191 South, facciamo ritorno a Monticello per proseguire dopo il rifornimento di carburante fino alla cittadina di Cortez, lasciando così lo Utah per entrare nello stato del Colorado, dove arriviamo dopo due ore di viaggio. Facciamo un giro per la città, ma ad eccezione di qualche ristorante ed alcuni supermercati, troviamo tutto chiuso; qui ogni attività lavorativa termina alle 17.

Venerdì 11 ottobre - Lasciamo Cortez per raggiungere uno dei siti archeologici più interessanti del Nord America, conosciuto in tutto il mondo per i cliff dwellings, gli antichi villaggi rupestri incastonati all’interno di nicchie rocciose ma apprezzato anche per il contesto naturale, costituito da zone desertiche, canyon e altopiani boscosi: il Mesa Verde National Park. Alle 8,30 siamo al Visitor center situato appena oltre l'incrocio con la US-160, per prenotare le visite guidate, essendo l’accesso ai siti archeologici consentito solo con l'accompagnamento di un guardiaparco, al complesso di Cliff Palace ed alla Long House di Wetherill Mesa. Le zone archeologiche sono distanti decine di chilometri, pertanto proseguiamo in auto lungo la strada principale che risalendo il parco lungo il North Rim porta all'imbocco di Chapin Mesa; lasciata l'auto al parcheggio di Spruce Tree House imbocchiamo il sentiero che porta al sito omonimo, ma dopo essere scesi nella falesia siamo costretti a ritornare sui nostri passi essendo il sito momentaneamente chiuso. Ripieghiamo sul vicino Museo archeologico in cui sono esposti reperti di manufatti preistorici che illustrano la storia e la cultura ancestrale dei Pueblos ed alle 10, orario in cui ha inizio la visita da noi prenotata, siamo alla terrazza panoramica che domina Cliff Palace, il complesso di cliff dwellings più grande al mondo. Lo visitiamo accompagnati da David Nighteagle, guida navajo simpatica e competente che ci conduce a visitare ciò che rimane delle plazas, delle pitture rupestri e delle camere rituali circolari, le kivas, che evocano un mondo antico e misterioso. Lungo una stretta scalinata scendiamo sotto la mesa, dove intorno all’anno 1200 all'interno delle sporgenze dei canyon si insediarono gli Anasazi, dapprima costruendo piccole case infossate nel terreno ricoperte da un tetto di legno e successivamente, con l’incremento della popolazione, strutture a più piani, erette per ospitare sempre al riparo della cengia rocciosa, decine di persone e dando alle kivas la nuova funzione di stanze cerimoniali. Conclusa l'interessante visita durata circa un’ora, riguadagnamo la sommità dell'altipiano arrampicandoci su scale di legno incastrate in stretti cunicoli fra le rocce e risaliti in auto, proseguiamo lungo la strada panoramica che costeggia la mesa fino a giungere in prossimità del villaggio rupestre di Balcony House. Come avevamo già appreso al Visitor center non è visitabile ma proseguendo a piedi lungo la cengia con una piacevole camminata di circa trenta minuti in mezzo alla bassa vegetazione dell'altipiano raggiungiamo il punto di osservazione lungo il Soda Canyon da cui la vista spazia sulla mesa e sul pueblo di Balcony House. Ultimiamo il nostro giro in auto per vedere anche le altre aree di Chapin Mesa che ospitano piccoli pueblos: tra questi Square Tower House e Pueblo Village, visibili dai panoramici viewpoint disseminati lungo la strada. Lasciamo quindi Chapin Mesa per raggiungere il parcheggio posto al termine di Wetherill Mesa road e partecipare alla visita guidata, prenotata per le ore 14, del villaggio rupestre di Long House. Questa volta è una ranger ad accompagnarci; puntuali con altri visitatori affrontiamo dapprima un tratto asfaltato per poi proseguire lungo un sentiero tra la vegetazione a cui fa seguito la scala che consente di accedere al complesso di edifici, identici a quelli visti stamattina, situati sotto la mesa. Dopo due ore siamo nuovamente al parcheggio ed un'ora più tardi a Cortez, dove da Fast Eddies, simpatico e folkloristico demolitore di vecchie automobili, cerchiamo delle targhe automobilistiche, prima di proseguire per Durango dove abbiamo prenotato il motel per la notte.

Sabato 12 ottobre - Dopo i grandiosi spettacoli che la natura ci ha offerto grazie ai tanti parchi visitati, ci regaliamo un tuffo nel passato. Dedichiamo la giornata odierna a Durango e Silverton, cittadine di montagna ai piedi delle Montagne Rocciose. Lasciato l'hotel situato lungo una delle principali strade d'accesso alla città, percorriamo Main Avenue la via principale di Durango su cui sorgono i più importanti edifici storici, per raggiungere la stazione ferroviaria, dove due convogli composti da carrozze d'epoca trainate da vecchie ma efficienti locomotive a vapore della Durango and Silverton Narrow Gauge Railroad, sono in attesa degli ultimi passeggeri. Sono i treni che percorrendo la vecchia linea ferroviaria risalente alla fine del 1800 risalgono la valle del fiume Animas per raggiungere il borgo minerario di Silverton, che anche noi visiteremo nel corso della giornata. Dopo aver assistito alla partenza degli sbuffanti convogli che a distanza di quindici minuti uno dall'altro lasciano Durango ci dedichiamo al piccolo ma interessante museo allestito nei depositi della stazione per un salto a ritroso fra oggetti e mezzi di trasporto dei tempi passati; al termine della piacevole visita lasciamo Durango e percorrendo la US-550 North, ci addentriamo fra boschi e pinete, nella natura selvaggia della San Juan National Forest; superati il Coal Bank Pass (3.250 metri di altitudine) ed il Molas Pass (3.320 metri) da cui si ha una splendida vista sulle vette circostanti, scendiamo nella valle di Silverton, località che evoca l’epopea della conquista del lontano West. Ci rechiamo alla vecchia stazione per attendere l’arrivo dei treni, per poi visitare e scoprire il vecchio villaggio, costituito da tantissimi edifici storici trasformati in negozi, bar e ristoranti, passeggiando lungo le vie secondarie, tutt'oggi sterrate, in cui rivivono ambiente ed atmosfera d'altri tempi, quando le carovane di coloni affrontavano l'attraversamento di aree impervie e pericolose in nome della colonizzazione delle nuove terre. Al rientro a Durango, ci concediamo una passeggiata lungo Main Avenue; qui l'atmosfera western convive con la progressiva trasformazione turistica, ed ai vecchi hotel in stile vittoriano quali lo Strater costruito nel 1887 in mattoni rossi ed il General Palmer, si contrappongono moderni negozi e gallerie d'arte. Nel tardo pomeriggio prendiamo la US-550 e dirigendoci verso sud, lasciamo lo stato del Colorado per entrare nel New Mexico.

Domenica 13 ottobre - Una giornata intensa, con parecchi chilometri da percorrere in auto e lunghe camminate, ci attende. Alle 7,30 lasciamo il Brentwood Inn di Farmington per dirigerci percorrendo la US-550 South a Nageezi, minuscolo borgo sperduto nelle immense lande del New Mexico, da cui utilizzando la locale CR-7900, strada sterrata dal fondo in ghiaia ed argilla ci addentriamo nella prateria per raggiungere il Chaco Culture National Park, sperduta e selvaggia area abitata nell'antichità dalle popolazioni dei Pueblos. Impieghiamo un’ora e trenta minuti per giungere al Visitor center dove ha inizio la scenic drive che collega le rovine degli antichi villaggi sorti ai piedi del costone roccioso di un vasto canyon. La percorriamo, facendo soste ai siti archeologici presenti lungo la strada: Hungo Pavi, che visitiamo esplorando le rovine dell'insediamento, un monumentale edificio pubblico costruito intorno all'anno mille dai predecessori di Hopi e Navajo, che conteneva oltre centocinquanta stanze, un grande kiva ed una piazza chiusa; Chetro Ketl e Pueblo Bonito a cui accediamo grazie ad un percorso ad anello che consente una interessante camminata nel più importante sito costruito nella valle, edificato su più piani con numerose kivas usate per le funzioni religiose. Proseguiamo quindi in auto fino al parcheggio situato al termine della strada panoramica, per incamminarci lungo il Pueblo Alto trail, sentiero che inerpicandosi sulla mesa permette di ammirare dall’alto l'insieme di costruzioni che formano Pueblo Bonito. Il trekking della durata di un paio d'ore, ha inizio dalla prateria per dirigersi alla mesa ed affrontare una ripida salita che incuneandosi in stretti passaggi tra i massi consente di raggiungere la sommità della falesia su cui si prosegue con una comoda camminata in piano sulle rocce fino al viewpoint di Pueblo Bonito, dove la vista spazia sulle rovine del villaggio e sull'intera vallata. Nel primo pomeriggio siamo nuovamente al parcheggio e lasciato il parco di Chaco Culture ci indirizziamo alla NM-57, strada dal fondo di argilla indurita, assai rovinata e scavata, percorribile solo quando il fondo è secco ma impraticabile in caso di pioggia. Poi un lungo tratto asfaltato lungo la NM-371 ci porta all'incrocio con la locale county road 7290, pista sterrata che attraverso la prateria, tipico paesaggio di questo angolo d'America, permette di raggiungere il parcheggio di Alamo Wash. Siamo nel Bisti Wilderness, una incredibile distesa di colorate collinette ondulate e di insolite rocce dalle forme bizzarre, rese tali dall'erosione e dai fenomeni atmosferici, nascoste nel Bacino di San Juan, zona desertica del New Mexico nord-occidentale. Da qui parte il sentiero che ci porta alla scoperta dell'area meridionale delle Bisti Badlands; firmato il registro posto all’ingresso, varchiamo la recinzione per il bestiame e seguendo la traccia presente sul terreno confermata dalla mappa scaricata sullo smartphone, ci inoltriamo nel deserto. Puntiamo verso i Chocolate Hoodos, basse colline color carbone per raggiungere, districandoci in un labirinto di cumuli terrosi, la zona di Flat Top. Camminiamo immersi in un fantastico paesaggio lunare, con il terreno che cambia colore in modo repentino, quasi passo dopo passo, passando dall'ocra, dal rosso e dal nero delle colline al giallo ed al bianco degli hoodoos. Raggiungiamo il Bisti Arch, piccolo arco circondato da cumuli dalle forme strane, purtroppo crollato nel marzo 2020, per arrivare all'incredibile distesa di rocce di Cracked Eggs, così chiamate per la forma particolare e per il colore che assumono al tramonto. Proseguiamo attraverso la foresta pietrificata, un'area piatta contornata da mura di arenaria in cui sono presenti diversi alberi pietrificati, per dirigerci alle zone chiamate Table Top ed Eagles Net prima di addentrarci nella Hoodoos City, un anfiteatro con un'alta concentrazione di hoodoos. Cercando un passaggio fra collinette e rocce dalle forme più strane in un'area dove non essendo presenti indicazioni non è poi così difficile perdersi ed in cui ci muoviamo grazie alla traccia scaricata in precedenza, facciamo ritorno ai Cracked Eggs dove attendiamo il tramonto. All'auto nel parcheggio di Alamo Wash ci arriviamo dopo oltre un’ora di cammino percorso quasi interamente nel buio intenso del deserto illuminato dalla fioca luce della luna e dalle nostre lampade frontali.

Lunedì 14 ottobre - Partiamo alle 7,30 e dopo aver effettuato rifornimento di carburante percorriamo in senso contrario la strada di ieri per recarci nuovamente nelle Bisti Badlands. Oggi visitiamo la meno frequentata area nord a cui si arriva svoltando dalla NM-371 South sulla county road 7293 che termina nei pressi del parcheggio di Hunter Wash. Lasciata l'auto, affrontiamo il trekking attraverso il deserto puntando verso la zona di Stone Wings dove sono presenti magnifiche pietre dalla forma alare che vento ed erosione hanno creato sulla sommità di pinnacoli rocciosi. Tutto intorno collinette di terra dai diversi colori che grazie alle loro peculiarità contraddistinguono le diverse aree: Conversing hoodos, Vanilla hoodos, Beige hoodos. Dopo un paio d'ore passate ad esplorare un territorio tanto vasto quanto arido ed inospitale, senza percorsi segnalati e molto simile per conformazione e caratteristiche a quello attraversato ieri durante il trekking nella zona sud, facciamo ritorno a Farmington. Appena fuori città ci fermiamo presso il deposito di un demolitore di automobili per proseguire nella nostra ricerca di targhe dei diversi stati che stiamo attraversando. Alla nostra richiesta un dipendente ci consegna due cacciaviti e ci dice di vagare per l'immenso deposito che occupa due intere colline per cercarle. Ne troviamo sei; ritornati in ufficio, il proprietario ce le regala. Proseguiamo lungo la US-64 West in direzione di Shiprock, dove ci fermiamo per uno spuntino nei pressi dell'omonimo monolito vulcanico, luogo sacro per i navajo, prima di dirigerci verso Red Rock e proseguire lungo la Indian route 13, strada tortuosa che si snoda attraverso le montagne fra boschi e pinete. Superato il Buffalo Pass ed oltrepassata Lukachukan, di primo pomeriggio, arriviamo a Chinle, al Visitor center del Canyon De Chelly National Monument, unico tra i parchi americani ad essere interamente in una riserva Navajo. Formato dal Canyon del Muerto e dal Monument Canyon che a loro volta si ramificano in una serie di numerose gole secondarie, il Canyon De Chelly ha un aspetto decisamente maestoso, grazie alle strapiombanti pareti di arenaria la cui altezza raggiunge i trecento metri. All'interno tra un’insolita vegetazione, vi scorre il fiume Chinle Wash e presenta, incassati nelle pareti rocciose, insediamenti degli antichi Anasazi. Lasciati i bagagli in hotel, ci dirigiamo percorrendo la South Rim drive, al White House overlook, punto di partenza del sentiero panoramico che conduce alle rovine del più antico villaggio della zona, unico modo per scendere all'interno del canyon senza l'accompagnamento di una guida navajo. Ci addentriamo nella falaise lungo un sentiero ripido, in parte a scalini ed in parte cementato che dopo aver attraversato un paio di brevi gallerie ed una zona coltivata a frutteto, porta al torrente oltre il quale si trovano le rovine di White House, insediamento utilizzato dalle tribù locali. Al termine della visita, risaliamo lungo lo stesso sentiero e dopo un paio d'ore, siamo nuovamente all'auto. Ci rimane ancora il tempo per esplorare i bordi del canyon, fermandoci fino al calare del sole, agli altri punti panoramici situati lungo la South Rim drive: Sliding House, Face Rock e Spider Rock overlook.

Martedì 15 ottobre - Lasciamo l'Holiday Inn presso cui abbiamo pernottato per percorrere la North Rim drive e raggiungere, lungo il Canyon del Muerto, i punti panoramici da cui si hanno le vedute più interessanti: Massacre Cave, luogo dove nel 1895 un centinaio di Navajo furono sterminati da una spedizione spagnola; Mummy Cave, punto da cui è possibile ammirare le rovine di un villaggio anasazi; Antelope House, viewpoint da cui si hanno vedute davvero suggestive nonostante la scarsa luce che illumina la gola. Proseguiamo la nostra visita spostandoci sulla South Rim drive e dopo una sosta al Tunnel point, raggiungiamo nuovamente lo Spider rock viewpoint per goderci la stupenda vista dei due pinnacoli gemelli che imponenti si ergono dal fondo del canyon, finalmente illuminati dai raggi del sole. Per farlo, abbiamo dovuto attendere che il sole fosse alto in cielo, aspettando la tarda mattinata e solo a mezzogiorno lasciamo Chinle e lo stato dell'Arizona per rientrare nello Utah e raggiungere il Natural Bridge National Monument. Percorriamo in auto i quindici chilometri del Bridge View drive, il percorso ad anello che consente di toccare tutti i punti panoramici del parco e vedere il lavoro dovuto alla straordinaria forza dell'acqua che ha scavato nella roccia tre spettacolari ponti naturali; la prima sosta è al viewpoint da cui si può ammirare il Sipapu bridge. Una breve camminata ci consente di avvicinarci al ponte di roccia, il più grande in termini di altezza, camminando lungo il sentiero che scende ripido verso il fondo del canyon; quindi dopo aver sostato ai viewpoint di Horsecollar Ruins e di Kachina Bridge, il ponte naturale più recente, concludiamo la giornata con una breve camminata lungo il facile sentiero che termina nella gola dell'Armstrong Canyon per vedere sopra di noi, la longilinea arcata dell'Owachomo bridge, il più piccolo e sottile dei tre ponti naturali e pertanto ritenuto il più antico che deve il suo nome, che in lingua Hopi significa tumulo di roccia, alla formazione rocciosa situata all'estremità orientale.

Mercoledì 16 ottobre - Lasciamo Blanding per la vicina cittadina di Bluff, la cui attrazione principale è il Bluff Fort. Fondato nel 1880 da pionieri mormoni che volevano insediare una missione lungo il fiume San Juan, fu il primo insediamento di coloni nello Utah sud-orientale, allora regione selvaggia, rifugio per uomini senza legge. Qui, all'interno di un forte per difendersi più facilmente dagli indiani, i pionieri costruirono le proprie dimore ed oggi quello che possiamo vedere, oltre alla ricostruzione del forte, sono i molti oggetti d'epoca, uno dei carri superstiti utilizzati per raggiungere Bluff in quella che passò alla storia come la spedizione di Hole in the Rock ed una delle case originali, la Barton Cabin. Al termine dell'interessante visita durata circa un'ora, proseguiamo sulla US-163 South per raggiungere la Valley of Gods e percorrere la Valley road, strada sterrata in buone condizioni che si snoda nel cuore di un territorio desertico in cui si elevano formazioni rocciose del tutto simili a quelle che si trovano alla Monument Valley. Lungo i ventisette chilometri è un susseguirsi di pinnacoli, monoliti e rocce modellate sia dall’azione dell’acqua che dagli eventi atmosferici; emblematici i loro nomi che riflettono quello che nell'immaginario esse dovrebbero rappresentare: Seven Sailors butte (sette marinai), Setting Hen butte, Rooster butte, Franklin butte (una vedetta di guardia), Battleship butte (una nave da guerra), Castle butte (un castello merlato) e Lady in the bathtub (una donna nella vasca da bagno). Attraversata la valle degli Dei, svoltiamo sulla Moki Dugway, strada realizzata nel 1958, per collegare la miniera di Happy Jack Mine con la cittadina di Mexican Hat e facilitare il trasporto a valle di uranio, rame e degli altri minerali estratti. Uno sterrato panoramico che permette di raggiungere in cinque chilometri la cima della possente Cedar Mesa percorrendo una strada di montagna sufficientemente larga da consentire il passaggio di due vetture, con numerosi e stretti tornanti che richiede attenzione per la totale mancanza di parapetti e protezioni ma non così pericolosa come invece viene descritta. Raggiunta la cima proseguiamo fino al Muley Point, il luogo da cui si aprono panorami incredibili che si perdono a vista d'occhio sulle rocce della Valley of Gods, sul fiume San Juan, sulla Monument Valley e sugli infiniti spazi di Arizona e Colorado. Proseguiamo sulla UT-261 e a mezzogiorno siamo al Gooseneck State Reserve; una volta parcheggiata l'auto ci ritroviamo su una terrazza naturale dalla quale si può vedere ciò che è riuscito a fare nel corso dei millenni il San Juan che scorre trecento metri più in basso ed ammirare la tripla ansa creata dall'erosione delle sue acque. Riprendiamo il viaggio verso la Monument Valley lungo la UT-316 East e proseguendo sulla US-163 South ci fermiamo, per le foto di rito, in uno dei punti più iconici di un viaggio nella West Coast, il Forrest Gump point, luogo che ha acquistato una notevole popolarità dopo che Robert Zemeckis vi ha girato una scena del film Forrest Gump interpretato da Tom Hanks. Alle 14 siamo alla Monument Valley, vasta area desertica su cui si elevano grandiose formazioni di arenaria. Luogo simbolo del West americano avendo fatto da cornice in moltissime pellicole, è gestita dagli indiani della riserva Navajo e si trova al confine fra Arizona e Utah; dopo essere stati al Visitor center, imbocchiamo la Valley drive, strada panoramica, dissestata ma facilmente percorribile, che permette di inoltrarsi fra le conformazioni rocciose della valle. In due ore e trenta minuti effettuiamo il giro ad anello sostando ai diversi viewpoint che ci consentono di ammirare tra gli altri i tre monoliti emblema di uno dei paesaggi più famosi al mondo: East & West Mitten e Merrick Butte. E' poi la volta di Elephant Butte, delle Three sisters, sottili pinnacoli che si distinguono dai monoliti circostanti, del John Ford’s Point, zona panoramica dedicata al regista che ha immortalato la Monument Valley come scenario simbolo del Far West, della Rain God Mesa, grande conformazione rocciosa situata al centro della valle, dell'Artist Point. Ci rechiamo quindi al Goulding’s Museum, museo e residenza storica, per vedere la ricostruzione del set utilizzato in uno dei suoi film, da John Wayne. Qui viveva Harry Goulding, che intorno al 1920 vi si trasferì per intraprendere un proficuo commercio con i Navajo e fu sempre lui, che nel decennio successivo, si recò a Hollywood per proporre al regista John Ford di usare la Monument Valley come set cinematografico per i suoi film. Con il sole che sta tramontando lasciamo la Monument Valley per raggiungere Page, cittadina sulle rive del lago Powell, dove arriviamo alle 20 recuperando un’ora; nei territori Navajo è infatti in vigore l’ora legale a differenza dell’Arizona in cui vige sempre l’ora solare.

Giovedì 17 ottobre - Di buon mattino siamo al Lower Antelope Canyon, il più fotografato slot canyon di arenaria del nord dell’Arizona. Da tempo cercavamo di prenotare i biglietti sui siti delle agenzie navajo che gestiscono gli accessi, trovando però sempre il tutto esaurito; non ci resta quindi che giocarci le ultime possibilità recandoci di persona alla biglietteria delle agenzie sperando di poterci aggregare ad uno dei tanti gruppi della giornata. Siamo fortunati ed al box office della Dixie Ellis riusciamo a reperire due biglietti per la visita del Lower Antelope con il gruppo previsto per le 8,45. C'è una ressa incredibile; in fila indiana, i gruppi ognuno composto da cinquanta visitatori, con una guida navajo che sorveglia ed accompagna dieci persone, attendono il loro turno per iniziare la visita della durata di un'ora e quindici minuti. All'orario previsto, ci accodiamo al gruppo precedente e scendiamo le scale metalliche che attraverso una stretta apertura danno modo di accedere al sottosuolo. Il canyon è magnifico; la luce che entra dalla stretta apertura superiore conferisce alla roccia splendide tonalità cromatiche; le ombreggiature e le sfumature arancioni e viola delle pareti levigate dagli agenti atmosferici rendono lo spettacolo unico, grazie anche alle forme create dal lavoro di vento ed acqua. Sicuramente uno spettacolo unico ed imperdibile creato dalla forza della natura; nota dolente la calca continua ed ossessiva dovuta all'eccessivo afflusso di visitatori ancor più esacerbato dall'atteggiameto di alcuni accompagnatori navajo che spingono per fare uscire i turisti dal canyon il più rapidamente possibile. A metà mattino facciamo ritorno a Page, per trasferirci al Buckskin Gulch il più lungo e profondo slot canyon del sud-ovest degli Stati Uniti, in cui le pareti rocciose arrivano in alcuni punti a toccare i cinquecento metri d'altezza. Ci arriviamo percorrendo la House Rock road, strada sterrata in buone condizioni con brevi tratti in cui sono presenti rocce affioranti, percorribile con ogni tipo di autovettura. Si trova nel Paria plateau all'interno del Vermilion Cliffs Natural Monument; per accedervi è necessario munirsi di un permesso del costo di sei dollari a persona, depositare l'importo nelle cassette per il self-pay che si trovano nelle aree adibite a parcheggio ed esporre la ricevuta di pagamento sul cruscotto del veicolo. Lasciata l'auto al parcheggio di Wire trail, alle 12,40 ci incamminiamo nel letto del fiume. Dopo un primo tratto in falsopiano, il corso del walsh si restringe per trasformarsi, con il procedere della discesa, in un canyon, in alcuni punti così stretto da toccare le pareti con le spalle. Superato un salto di tre metri grazie ad una scala metallica ancorata sommariamente ai massi, ci ritroviamo in uno slot canyon spettacolare; giunti all'intersezione tra il Wire Walsh ed il Buckskin Gulch optiamo per esplorare dapprima il canyon di sinistra e camminando su un fondo in parte sabbioso ed in parte di pietre deposte dallo scorrere dell'acqua ci addentriamo in un'ampia gola incassata fra alte pareti rocciose; poi ritornando sui nostri passi proseguiamo nel canyon di destra e dopo qualche centinaio di metri ci troviamo nuovamente circondati da passaggi tortuosi, stretti ed altamente spettacolari. In un paesaggio incontaminato, estremamente duro e selvaggio, camminiamo in assoluta solitudine; solo durante il ritorno all'auto, facendo il tragitto inverso, incontriamo altri trekkers. Alle 16,10 dopo tre ore e trenta minuti siamo nuovamente al parcheggio. Ritorniamo a Page, fermandoci strada facendo ad una delle pochissime spiagge del lago Powell, Lone Rock, situata di fronte al monolito omonimo, imponente faraglione che emerge dalle acque del lago, punto di sosta per mastodontici motorhomes parcheggiati a pochi metri dalla riva e al Wahweap overlook point, collina da cui il lago e le scogliere di arenaria ci appaiono illuminati dagli ultimi raggi del sole che sta tramontando alle nostre spalle.

Venerdì 18 ottobre - Prima di lasciare Page ci rechiamo al Glen Canyon Dam per vedere l’imponente diga che blocca il corso del fiume Colorado formando il lago Powell. Diamo un rapido sguardo all’imponente struttura percorrendo a piedi il ponte pedonale che la fiancheggia e che da un'altezza di oltre duecento metri attraversa la gola in cui scorrono le acque del Colorado. Ci mettiamo quindi in viaggio sulla AZ-64 West per raggiungere il Grand Canyon; arrivando da East Entrance, percorriamo la Desert View drive, strada che costeggia il South Rim snodandosi all’interno della foresta che ricopre il bordo del più grande canyon del mondo. Imponenti le sue dimensioni: quattrocentocinquanta chilometri di lunghezza, diciotto di larghezza ed oltre milleseicento metri di profondità, frutto dell’erosione prodotta dalle acque del fiume Colorado in milioni di anni. Percorrendo la Desert View drive ci fermiamo ai vari viewpoint situati lungo il percorso: Desert View, punto panoramico che offre una delle vedute più emozionanti dell’intera area con il fiume Colorado visibile per chilometri. Qui si trova anche la storica watchtower, torre di osservazione costruita sul bordo del precipizio; siamo nel punto più elevato (2290 metri) della parte meridionale del Grand Canyon e dalla sommità della torre la vista spazia a trecentosessanta gradi. Proseguiamo quindi con il punto panoramico di Lipan dove lo sguardo abbraccia una parte piuttosto ampia del corso del fiume con le rapide di Nevills e di Hance in lontananza. Dopo esserci fermati anche a Moran point e a Grandview point lasciamo l'auto per raggiungere con un autobus navetta, Yaki point da cui si può ammirare una vasta sezione della parte centrale del Canyon. Per quasi tutto l'anno a causa dell’enorme afflusso di visitatori l’intera sezione occidentale del South Rim attraversata dalla celebre e panoramica Hermit Road, rimane chiusa al traffico veicolare privato e solo gli autobus navetta gestiti dal parco possono percorrerla; purtroppo i trasferimenti con le navette sono lenti e lunghe le attese dei mezzi alle fermate a causa degli autobus sovraffollati. Utilizzando le navette delle due linee in servizio, raggiungiamo Monument Creek per affrontare un breve trekking lungo il sentiero che si snoda sul bordo del canyon: è il Rim Trail, comodo e panoramico passeggio che si sviluppa in piano con pochi saliscendi seguendo l’andamento della Hermit Road. Costeggiamo lo spettacolare precipizio profondo quasi novecento metri che fiancheggia il sentiero e dopo aver superato il punto panoramico di The Abyss raggiungiamo Mohave point dove, utilizzando un autobus navetta, facciamo rientro al Visitor center. Anche per il ritorno dobbiamo attendere a lungo il passaggio di un mezzo su cui ci sia spazio sufficente per poter salire e questo, unito alla troppa gente ed alle lunghe attese con le conseguenti notevoli perdite di tempo non ci hanno fatto apprezzare il Grand Canyon come ci aspettavamo; pur se in ritardo raggiungiamo a piedi il Mather point per un ultimo sguardo al Grand Canyon con il sole ormai tramontato. Decidiamo di non fermarci oltre e di annullare quanto avevamo in programma per la mattina seguente; lasciamo il parco e percorrendo la AZ-64 South e la US-180 East ci spostiamo a Williams.

Sabato 19 ottobre - Lasciata l'auto in motel dedichiamo buona parte della mattinata alla visita della cittadina di Williams, una delle località più importanti lungo il percorso della mitica Route 66 ed ultima città ad essere bypassata, nel 1984, dalla costruzione della interstatale I-40. Ci muoviamo alla scoperta della città, le cui strade sono caratterizzate da storici edifici, locali pubblici e negozi dalle fantastiche insegne al neon, che richiamano in ogni momento la storia della Route 66; un museo all'aperto che evoca gli anni d'oro di una arteria lunga quasi quattromila chilometri che collegava Chicago con Santa Monica, in California. E' quasi mezzogiorno quando imbocchiamo proprio l'autostrada interstatale per attraversare l'inospitale deserto del Grand Canyon State e dirigerci rapidamente alle altre località, ancora oggi assai frequentate e che rivivono, quasi fuori dal tempo, l'atmosfera degli anni Cinquanta. Ci spostiamo a Seligman, minuscolo agglomerato di case che continua a prosperare grazie a questo mito e che ha avuto una vera e propria rinascita anche grazie al film della Disney, Cars. Passeggiamo lungo la Route 66, l'unica strada che l'attraversa, su cui si susseguono negozi tipici e locali pubblici che per i cimeli che contengono, si rivelano essere dei veri e propri musei che raccontano la storia di quella che per gli americani è diventata la Mother road; il più rappresentativo anche grazie alla facciata multicolore ed alla coda di un aereo che sovrasta il porticato, è l’Historic Seligman Sundries, folkloristico museo, magazzino, caffetteria, conosciuto oltre che per essere uno degli esercizi commerciali più antichi anche per la sua invidiabile collezione di cianfrusaglie, cimeli storici e mezzi d’epoca. Proseguiamo fino a Kingman dove ci fermiamo alla stazione ferroviaria, all'attiguo museo ferroviario ed ai grandi serbatoi eretti a fianco dei binari su cui sono dipinti una locomotiva ed un saluto di benvenuto. Proseguendo sulla Route 66, ci addentriamo fra le Black Mountains; oltrepassata la vecchia stazione di benzina di Cool Springs, restaurata dopo anni di abbandono, la strada si fa più stretta e tortuosa ed in un susseguirsi di curve e controcurve arriviamo a superare il Sitegrave Pass. E' un percorso piacevole che ci permette di ammirare splendidi panorami e che conduce ad Oatman, villaggio western un tempo rifugio per minatori e cercatori d’oro, in cui i pochi abitanti rimasti contrastano il passare del tempo mantenendo vive tradizioni risalenti all'epoca, ormai lontana, dei cowboy e della corsa all’oro. Camminiamo per il paese passando accanto a vecchi edifici in legno che un tempo hanno ospitato banche, empori, saloon e bordelli ed oggi negozi dalle sbiadite insegne retrò che si affacciano su portici e marciapiedi, rialzi fatti sulla stretta strada principale con vecchie assi di legno delimitate da staccionate per i cavalli che richiamano alla memoria scene di tanti film western. A rendere Oatman ancora più vitale sono gli asini che se ne vanno avanti e indietro per un breve tratto della Main Street, inseguendo i turisti per mendicare, un po’ di burro chow, il cibo di cui sono ghiotti e che si trova in vendita nei negozi del paese; sono loro la vera attrazione nonchè gli incontrastati padroni di casa. E' quasi sera quando riprendiamo il viaggio lasciandoci alle spalle caratteristici luoghi dall’aspetto retrò, uno dei motivi per cui la Route 66 ha ancora tanto fascino e richiama visitatori da ogni parte del mondo, per scendere a Laughlin ed essere accolti, essendo entrati nello stato del Nevada, dallo sfavillio delle luci delle sale giochi e dal rumore delle slot machines dell’Avi Casinò, resort in cui trascorriamo la notte.

Domenica 20 ottobre - Mentre i giocatori più incalliti sono già alle prese con le attrazioni del casinò lasciamo il resort che sorge sulle rive del Colorado ed utilizzando la US-93 North ci dirigiamo verso Las Vegas, ma prima di raggiungere la città ci dirigiamo verso Boulder City ed il lago Mead, area gestita dai parchi nazionali a cui accediamo mostrando la tessera annuale, dove ha inizio la state road 167 più conosciuta come North Shore drive, la strada che attraverso una selvaggia e semi-desertica zona collinare costellata di bassi cespugli ci porta all’ingresso orientale del Valley of Fire State Park, parco statale il cui nome deriva dalle grandi formazioni in arenaria rossa che sotto i raggi del sole sembrano incendiarsi. Poco prima di mezzogiorno siamo al Visitor center; iniziamo la visita dall'Atlatl rock, un grande gruppo isolato di arenaria che presenta, incisi nella roccia numerosi petroglifici. Ci spostiamo anche all'attiguo sito di Beehives dove insolite formazioni di natura stratificata che originariamente erano dune di sabbia, si sono trasformate in pietra. Proseguiamo in auto lungo la White Domes road; dopo una prima sosta al parcheggio di Rainbow Vista per effettuare un breve trekking che ci consente di raggiungere uno dei punti panoramici più interessanti del parco grazie alla veduta sulle ondulate dune di sandstone dai colori meravigliosi, raggiungiamo il punto terminale della strada e lasciata l'auto ci incamminiamo lungo il sentiero denominato White Domes loop. Un giro ad anello che percorriamo in quarantacinque minuti attraverso un paesaggio desertico tra sabbia, straordinarie rocce colorate, colline scoscese ed un breve slot canyon. Superato il primo breve tratto che permette di oltrepassare una collina sabbiosa scendiamo nella rocciosa valletta sottostante utilizzata per girare, nel 1966, alcune scene del film The Professionals, con Burt Lancaster, Lee Marvin, Claudia Cardinale e dove sono ancora presenti i resti del set cinematografico. Proseguendo lungo il sentiero che ora si snoda in piano attraversiamo un breve slot canyon, per poi proseguire e risalire verso un suggestivo arco naturale. In breve siamo nuovamente al parcheggio, ripercorriamo in senso contrario la scenic road utilizzata come sfondo in diversi spot pubblicitari grazie agli stupendi paesaggi che attraversa, per raggiungere il punto di partenza del Five Wave trail. Ci attende una camminata di circa un'ora che dopo un inizio sabbioso e per lo più pianeggiante porta verso un caratteristico promontorio roccioso che risaliamo camminando direttamente sulle rocce di arenaria prendendo come riferimento i radi pali in metallo ed i cairns, piccoli mucchi di pietre, posti ad indicare il sentiero fino a quando la Fire Wave ci appare dall’alto. Lo spettacolo è davvero magnifico, un panorama straordinario di formazioni di arenaria colorata: bianco, giallo, arancione, rosa ed al centro una splendida e particolarissima formazione rocciosa dalle forme sinuose e tondeggianti, un'onda formata da rocce di colore rosso attraversate da striature bianche che rammenta, per colore e bellezza, la famosissima The Wave. E' pomeriggio inoltrato, uno dei momenti ideali per vedere la Fire Wave con la luce migliore, quando facciamo ritorno all'auto. Nei pressi del parcheggio abbiamo l'opportunità di vedere, mentre si muove sulle rocce, anche uno dei tanti abitanti del parco: una grande e pelosa tarantola. Ci rimettiamo in viaggio e percorrendo la Interstate I-15 South ci dirigiamo verso la capitale del kitch, dello show e del gioco d'azzardo: Las Vegas.

Lunedì 21 ottobre - Dedichiamo la giornata odierna alla scoperta di Las Vegas e lasciata l'auto in hotel, di buon ora, ci mettiamo in cammino per raggiungere il cuore pulsante della città: il nome ufficiale è South Las Vegas Boulevard ma da tutti è conosciuto come lo Strip. Qui sorge gran parte dei grandi alberghi, qui la città offre il meglio di sè dando continuo spettacolo, qui si concentrano negozi, ristoranti, artisti di strada. Ogni metro di strada è show, ogni hotel merita, per la singolare atipicità e per la grandiosità della costruzione una seppur rapida visita, anche per osservare la varia umanità che gravita intorno alle diverse attrattive, siano essi protagonisti o turisti. Iniziamo la nostra visita agli alberghi più celebri, con il Bellagio le cui fontane luminose con il grandioso spettacolo di luci e suoni abbiamo già apprezzato ieri sera e con il Paris che grazie alla replica dell’Arco di Trionfo e della Tour Eiffel fa rivivere un angolo della ville lumière. E' poi la volta dello storico Caesar Palace che seppur inaugurato nel 1966 continua ad attirare estimatori grazie alla riproduzione di monumenti che ci ricordano Roma e dell'ancora più vetusto Flamingo, oggi il più vecchio albergo di Las Vegas, costruito nel 1946 dal gangster Bugsy Siegel grazie ai finanziamenti delle famiglie mafiose di New York. Ci spostiamo verso il Mirage, diventato famoso per gli spettacoli e le tante attrazioni ed allo spettacolare Venetian Resort: qui a dominare la scena sono le gondole, la ricostruzione in scala del Ponte di Rialto e del campanile di San Marco, a cui fa seguito il Treasure Island facilmente riconoscibile per il vascello dei pirati che staziona nello specchio d'acqua antistante l’hotel. Proseguiamo la lunga camminata fino alla zona di Downtown, il nucleo originario della città; qui nel 1905 sorsero i primi edifici e lungo Fremont Street, prima strada di Las Vegas ad essere asfaltata, vennero aperti i primi casinò. Passeggiamo lungo la via, oggi coperta ed illuminata percorsa anche da una zip-line, lungo la quale, fra casinò e locali con ragazze in abiti succinti si esibisce una umanità varia e disperata; è una realtà di Las Vegas che merita di essere vista per assaporare tra vistose insegne al neon, le atmosfere della Vegas di una volta. Siamo quasi a sette chilometri dal cuore dello Strip ed essendo metà pomeriggio decidiamo di riposarci facendo ritorno verso il Bellagio accomodandoci sui sedili di un autobus e di ripercorrere lo Strip con lo sguardo, dal finestrino. Ma non ci fermiamo e riprendiamo il nostro peregrinare recandoci all'Excalibur, hotel casinò che con le sue torri e le sue cupole replica il castello fatato di Mago Merlino e di Re Artù; al Luxor, inconfondibile con l'enorme piramide nera e la grande Sfinge posta all’entrata; per finire con un'altra icona della città, il New York New York, assolutamente riconoscibile per la replica del ponte di Brooklyn, dell’Empire State Building e della Statua della Libertà. Concludiamo la serata assistendo nuovamente allo spettacolo delle fontane luminose del Bellagio per fare quindi ritorno in albergo a conclusione di una giornata intensa che ci ha visto percorrere, a piedi, quasi ventiquattro chilometri.

Martedì 22 ottobre - Lasciamo Las Vegas nell'intenso traffico mattutino per proseguire il nostro viaggio di ritorno verso la California. Percorriamo la Interstate I-15 fino all'abitato di Jean dove ci immettiamo sulla secondaria NV-161 West per raggiungere Goodsprings, vecchia cittadina mineraria dove ancora oggi è in attività il Pioneer saloon. Costruito nel 1913, è uno degli ultimi autentici saloon dell'epoca ancora in servizio; caratteristiche le pareti, sia interne che esterne, di latta stampata, che ne fanno probabilmente il più antico edificio in metallo stampato ancora in piedi. Tutto all'interno è vintage, dal bancone in legno massello prodotto nel 1860 e trasferito a Goodsprings nel 1913, alla stufa originale che ancora oggi riscalda l'edificio, ai tavoli da pranzo che risalgono al giorno dell'inaugurazione. Nel locale, l'attore Clark Gable attese per tre giorni notizie dalla spedizione partita per ricercare il DC3 della TWA su cui viaggiava Carole Lombard schiantatosi nel gennaio del 1942 contro la parete del Double Up Peak sul monte Potosi, poco lontano da Goodsprings e seduto ad uno dei tavoli ricevette la notizia della morte della moglie. Ormai prossimi al confine, lasciamo il Nevada per attraversare il deserto del Mojave, enorme estensione con ampie aree inaccessibili, occupate dalle basi dei marines e dell’esercito americano. Lasciata la interstatale ci addentriamo nel deserto lungo strade secondarie per raggiungere tra basse collinette con alberi di joshua i villaggi di Cima e di Kelso Depot, piccola oasi verde, dove la vecchia stazione ferroviaria è stata trasformata nel Visitor center del parco. Siamo ormai al centro della parte più bella e selvaggia dell’area protetta che costituisce la Mojave National Preserve a pochi chilometri dalle dune di Kelso, una vasta estensione di maestose dune di sabbia, alte quasi duecento metri che vennero anche utilizzate per l'addestramento delle truppe del Generale Patton che durante la seconda guerra mondiale si preparavano ad affrontare l'esercito tedesco comandato da Rommel. Effettuiamo una camminata di circa un'ora fino alla base delle dune più alte prima di riprendere il viaggio che attraverso le Interstate I-40 West e I-15 South, ci condurranno alla CA-58 West e dopo un lungo trasferimento a Bakersfield.

Mercoledì 23 ottobre - Partiamo di primo mattino da Bakersfield e dopo un primo tratto di strada lungo la CA-98 North che attraversa pozzi per l'estrazione petrolifera della Conoco a cui fanno seguito estesissime piantagioni di alberi da frutta, agrumeti e vigne, iniziamo la lunga salita verso il Sequoia National Park. Lo raggiungiamo percorrendo la CA-198 East, strada stretta e tortuosa con infinite curve e numerosi tornanti, dominata dal picco roccioso del Moro Rock. Dopo aver mostrato ai rangers, posti all'ingresso, l’America National Pass, entriamo nel primo parco istituito in California; è qui e nel contiguo Kings Canyon National Park che crescono le sequoie giganti. La prima sosta la effettuiamo al Tunnel Log, una sequoia caduta a terra in cui è stato ricavato un tunnel per il passaggio delle auto situata nei pressi del parcheggio da cui ha inizio il sentiero che permette di salire sul Moro rock, picco di granito da cui si ha una vista spettacolare sulla Sierra Nevada. Affrontiamo la salita al monolito, una ripida scalinata di trecentocinquanta scalini che intagliati nella roccia, portano sulla sommità, eccezionale punto panoramico da cui lo sguardo spazia, seppure velato da un poco di foschia, sia sui picchi del Great Western Divide con la High Sierra sullo sfondo, sia verso le colline in direzione di Fresno e Los Angeles. In auto ci spostiamo nell'area considerata una delle maggiori attrazioni del parco, il Giant Forest Museum: è qui che si trovano quattro delle sequoie più imponenti esistenti al mondo, tra cui il General Sherman Tree, l’albero più grande al mondo per peso e volume. Ci spostiamo nuovamente a piedi seguendo il camminamento che raggiunge proprio il General Sherman, imponente sequoia che raggiunge un'altezza di ottantaquattro metri ed un diametro alla base di undici metri, e che deve il suo nome ad un comandante della guerra civile americana. E' uno dei punti con maggior afflusso di visitatori e molti sono in fila per farsi scattare una foto appoggiati al recinto che protegge il Generale; noi preferiamo proseguire lungo il Congress loop, un percorso ad anello, in parte asfaltato che si inoltra nella foresta fino a raggiungere una serie di spettacolari sequoie, le più imponenti del parco. Superato un primo gruppo di alberi il sentiero prosegue tra i pini finchè in rapida successione non appaiono il President Tree, settancinque metri di altezza e ventotto metri di circonferenza ed altri due distinti gruppi di sequoie, leggermente meno alte ma estremamente ravvicinate: The Senate e The House. Ora non ci resta che raggiungere il Lincoln Tree, il quarto più grande albero al mondo, per concludere il giro e ritornare dopo circa un'ora al parcheggio. Ripresa l'auto proseguiamo lungo la CA-198 che attraversa interamente il parco per raggiungere l'area di Grant Grove; qui si trova il General Grant Tree, sequoia di ottantuno metri di altezza con una circonferenza di trentadue metri, che prende il nome da Ulysses S. Grant, diciottesimo presidente degli Stati Uniti e che raggiungiamo con una breve camminata che ha come caratteristica quella di farci transitare all'interno, percorrendone l'intera lunghezza, della Fallen Monarch, grande sequoia caduta a terra a causa di un incendio. Dopo trenta minuti siamo nuovamente all'auto per riprendere il viaggio verso Fresno, ultima tappa del nostro viaggio negli stati della West Coast.

Giovedì 24 ottobre - E' un susseguirsi di coltivazioni estesissime, di piantagioni di alberi da frutta ed immensi ranch con animali al pascolo, il paesaggio che ci accompagna mentre ci dirigiamo verso la costa californiana per raggiungere il San Francisco International Airport. Dopo aver riconsegnato agli uffici della "Alamo", la Jeep Compass 4x4, impeccabile compagna di viaggio che ci ha assecondato negli ottomilacinquecento chilometri percorsi, utilizzando il treno navetta che collega le diverse aree dell'aerostazione, ci portiamo alla stazione della BART - Bay Area Rapid Transit - comodo ed efficiente servizio ferroviario che collega la città di San Francisco con l'aeroporto e le altre località della baia. Scendiamo a Daly City, dove nelle immediate vicinanze della stazione, grazie ad Airbnb abbiamo trovato una confortevole sistemazione in appartamento; depositati i bagagli, alle 14 siamo nuovamento sul treno diretti ad una delle aree centrali di San Francisco: il quartiere dell’Embarcadero. Ci spostiamo a piedi camminando sulla litoranea fino a raggiungere il Pier 33, punto di attracco dei traghetti per l'isola di Alcatraz. Chiediamo agli addetti informazioni sulla possibilità di visitare quello che fu uno dei carceri più celebri del pianeta; ci viene confermata la disponibilità di due posti sul traghetto in partenza. Con l'intero pomeriggio davanti a noi, non ci facciamo sfuggire l'occasione ed acquistati i biglietti, saliamo a bordo. Attraversato lo stretto braccio di mare, dal molo saliamo la rampa che porta all’ingresso del penitenziario: guidati dalle audioguide disponibili anche in italiano, seguiamo il percorso attraverso le diverse sezioni dell'esteso complesso detentivo esplorando gli interminabili corridoi, le celle, alcune delle quali hanno ospitato efferati criminali, la sala refettorio, le docce, la sala vestiario, ascoltando nel contempo storie, aneddoti e leggende che hanno reso ancora più interessante la visita di un posto inquietante ed allo stesso tempo fascinoso, diventato penitenziario di massima sicurezza nel 1934 e che venne chiuso nel marzo del 1963 a causa degli elevatissimi costi di mantenimento. Qui furono rinchiusi alcuni dei detenuti più pericolosi degli Stati Uniti e per questo la disciplina era rigidissima; la pena si scontava in celle singole e chi non rispettava le regole veniva punito e mandato in fredde e buie celle di isolamento. Dopo aver concluso la visita dell'interno della prigione utilizzata nel 1979 come set per girare il film Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood, ci dedichiamo all'esplorazione degli spazi esterni dell'isola utilizzata, nel tempo, anche come fortezza e faro. Facciamo ritorno a San Francisco con l'ultimo traghetto pomeridiano e mentre attraversiamo la baia con il sole che lentamente scompare all'orizzonte, ci godiamo uno splendido ed infuocato tramonto sul Golden Gate Bridge e sullo skyline della città.

Venerdì 25 ottobre - Alle 8,00 lasciamo Daly City ed utilizzando i comodi treni della BART raggiungiamo in città, la stazione di Powell square. Ci spostiamo a piedi ed in Market street assistiamo alla manovra di rotazione della cable car; essendo uno dei capolinea, una grande piattaforma girevole consente la rotazione manuale della carrozza, eseguita dai manovratori, che la riposizionano sui binari per permetterle di riprendere il percorso di ritorno. Ci portiamo nella vicina Union square, la piazza principale di San Francisco e percorsi pochi passi ci troviamo al Dragon’s gate, porta d'ingresso al quartiere cinese più antico del Nord America, risalente al 1840 quando qui si stabilirono i primi immigrati provenienti dalla Cina. Percorriamo Grant Street, la via principale nonchè la più antica del quartiere, su cui si affacciano decine di negozi ed empori; passeggiando nelle strade ci ritroviamo proiettati in una realtà lontana migliaia di chilometri, fra palloncini colorati, lanterne, suoni e voci tipicamente cinesi. Ci dirigiamo a Portsmouth square, il cuore di Chinatown, un luogo ricco di storia con un parco adornato di statue, moderne opere in cemento e vetro, e panchine, luogo di aggregazione per anziani cinesi che qui si ritrovano a leggere il giornale e giaciglio per gli homeless. Proseguiamo lungo Columbus Avenue ed oltrepassata la Transamerica Pyramid raggiungiamo sul lungomare, Ferry Building uno degli edifici storici della città, costruito nel 1898 sulla baia; a caratterizzarlo la Torre dell’Orologio ed la suggestiva copertura in vetro ed acciaio che dona a bar e ristoranti ospitati all’interno, una piacevole atmosfera. Proseguiamo sulla litoranea costeggiando il lungomare su cui si susseguono vecchi moli ed attracchi utilizzati dai traghetti: il vecchio Pier 7 che si protende nella baia e dalla cui punta estrema i moderni palazzi del Financial District ci appaiono da una prospettiva insolita; il Pier 39 conosciuto per la colonia di leoni marini della California, pigramente stesi sulle piattaforme galleggianti; il Fisherman Wharf, antico molo di pescatori diventato un frequentatissimo punto di ritrovo con negozi, ristoranti e chioschi dove lo sguardo abbraccia la baia dal Golden Gate ad Alzatraz. Ci dirigiamo quindi verso l’interno della città, a Russian hill ed ai caratteristici tornanti in discesa contornati da aiuole fiorite di Lombard street per poi attraversare il sempre colorato quartiere italiano di North Beach e passando per la chiesa di San Pietro e Paolo, punto di riferimento spirituale per la comunità italo-americana del quartiere, concludere un'intensa giornata al Cable Car Museum. Non un semplice museo ma il punto di partenza dei cavi d’acciaio che consentono il movimento delle cable car, vera attrazione cittadina, in servizio dal lontano 1873.

Sabato 26 ottobre - Siamo ormai alla fine del viaggio e preparati i bagagli, utilizzando i treni della BART, raggiungiamo la stazione di Mission da cui ci incamminiamo verso il quartiere di Castro, abitato fino agli anni ’40 del secolo scorso da immigrati irlandesi e diventato in seguito il quartiere simbolo della comunità gay, che qui ha visto nascere il suo simbolo più conosciuto: la bandiera arcobaleno. Con le strade deserte raggiungiamo l'incrocio fra la 18th e Castro Street, facilmente riconoscibile per le strisce pedonali arcobaleno dipinte sulla sede stradale, per spostarci dopo essere stati al Castro Theater, edificio storico del 1922, all'attiguo quartiere di Haight Ashbury il luogo che ha dato i natali alla cultura hippy. Percorriamo Haight street, l'animata arteria costellata di negozi caratteristici in cui è ancora palpabile l’atmosfera e lo stile di vita di un quartiere, unico nel suo genere, che sembra vivere della nostalgia di un tempo passato e di un ideale perduto. Anche il tempo del nostro soggiorno a San Francisco sta per finire; in filobus raggiungiamo Ferry Building dove prendiamo il treno della BART che ci riporta per l'ultima volta a Daly City. Recuperati i bagagli ci dirigiamo in aeroporto; effettuato il check-in, affrontiamo la lunga coda per l'espletamento delle formalità doganali. Ora non ci resta che attendere la partenza del volo Air Italy, previsto per le 16,40, che ci ricondurrà in Italia.

 
 
 
 
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