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" Monasteri d'Armenia "
Un viaggio in Caucaso, in una delle aree più affascinanti e travagliate dell'Asia Minore,
teatro fino a qualche anno fa di guerre e secessioni, attraverso Georgia, Nagorno Karabakh ed Armenia, piccola nazione montuosa abitata da
un popolo ospitale ed orgoglioso che ha sempre difeso la propria cultura e le proprie tradizioni nonostante le terribili persecuzioni
subite e lo smembramento del suo territorio operato in passato da Russia e Turchia. Un paese, in cui la storia,
da sempre legata all'identità religiosa ed al cristianesimo, ha mantenuto intatta nei secoli una forte coesione nazionale lasciando nel
contempo, importanti testimonianze storiche di questo passato: chiese, monasteri, fortezze e siti archeologici.
Domenica 4 ottobre - Terminati gli ultimi preparativi, in serata ci rechiamo a
Milano Malpensa dove alle 00,40 ci attende il volo Aeroflot diretto a Mosca.
Lunedì 5 ottobre - Dopo tre ore di volo nei cieli d'Europa, nel cuore della notte,
atterriamo all'aeroporto moscovita di Sherematyevo. Sosta di alcune ore trascorse cercando di riposare sulle scomode poltrone del terminal e
finalmente siamo in volo per la nostra destinazione finale, lo "Zvartnost International Airport" di Yerevan. Superati celermente i controlli
doganali, in taxi raggiungiamo l'hotel prenotato tramite internet; depositati i bagagli, a piedi, percorrendo la centrale Abovyan Poghots,
ci dirigiamo verso gli uffici della Hertz, dove Mr. Grigoryan, con cui avevo avuto un fitto scambio di e-mail, ci sta aspettando per consegnarci
una Lada Niva 4x4, nostro mezzo di trasporto in questo viaggio in Armenia, Georgia e Nagorno Karabakh. Alla consegna dell'auto constatiamo che gli
pneumatici sono molto "vissuti" ma alla nostra richiesta di una sostituzione, ci viene risposto che secondo i canoni armeni non sono sufficientemente
usurati; non ci resta che portare l'auto in hotel ed iniziare la visita della città. Ci muoviamo a piedi; in Abovyan Poghots ci fermiamo alla piccola
chiesa di Katoghike, cappella del XIII° secolo scoperta casualmente nel 1936 durante i lavori di abbattimento da parte dei sovietici di una chiesa
di epoca successiva in cui era stata inglobata. Percorrendo Sayat Nova Poghots raggiungiamo il Teatro dell'Opera circondato da piacevoli ed affollati
giardini e proseguendo lungo Hyusisayin Poghota, moderna ed elegante via pedonale con negozi alla moda, raggiungiamo piazza della Repubblica, ex
piazza Lenin, su cui sorgono alcuni degli edifici più importanti della città tra cui il Museo di Storia e la Galleria d'arte nazionale, di fronte
alla quale, nell'adiacente vasta fontana, si tiene lo spettacolo serale di luci e suoni.
Martedì 6 ottobre - Percorrendo uno dei pochi tratti autostradali presenti nel paese,
lasciamo Yerevan, per dirigerci tra colline adibite a pascolo verso le regioni di Lori e di Tavush, al confine con la Georgia. Oltrepassata Sevan,
cittadina situata sul lago omonimo, il paesaggio cambia radicalmente; non più dolci colline ma rive scoscese ricoperte di boschi di conifere ci
accompagnano nella salita verso i 2.114 metri del Sevan pass, che superiamo, percorrendo il lungo tunnel che consente l'accesso alla valle di
Vanazdor. Giunti in città, ci rechiamo allo shuka, il mercato cittadino, il più importante della regione, che oltre ad occupare
una vasta superficie coperta riservata a negozi di abbigliamento e calzature, si estende
anche nelle vie limitrofe con bancarelle allestite dai contadini giunti in città dai villaggi dei dintorni, utilizzando autovetture cariche
all'inverosimile di ortaggi, legumi, patate o frutta. Lasciata Vanazdor, risaliamo la valle del Debed, percorrendo la stretta e trafficata strada
nazionale che conduce in Georgia, percorsa da molti mezzi pesanti provenienti, oltre che dalle nazioni confinanti, anche da Russia ed Ucraina.
Lasciata l'auto al casello ferroviario di Kobayr, ci arrampichiamo lungo la mulattiera che porta al villaggio omonimo, poche rustiche case
abbarbicate sul fianco della montagna sovrastate dalle rovine della chiesa in parte crollata. Ci aggiriamo fra i resti, quasi fagocitati dalla
vegetazione, della torre campanaria e della chiesa risalente al XII° secolo; un'ambientazione particolarmente suggestiva, in cui spicca l'abside
affrescata con dipinti di santi, voluti da una nobile famiglia di fede georgiana ortodossa. Ripresa l'auto, copriamo i pochi chilometri che ci
separano dalla strada panoramica che con larghi tornanti risale il crinale roccioso a picco sul fiume Debed, fino a raggiungere un vasto altopiano
verdeggiante, terreno di pascolo per animali, su cui sorge il villaggio di Odzun, conosciuto per la chiesa, risalente al VI° secolo, una
delle prime costruzioni a cupola, circondata da una spianata erbosa in cui sono presenti numerose pietre khatchkar ed un monumento, probabilmente
funerario o commemorativo, composto da due stele sovrastate da una volta arcuata con incisioni raffiguranti scene bibliche. Attraversata la polverosa
ed inquinata cittadina mineraria di Alaverdi, saliamo al villaggio di Haghpat, situato a 950 metri di altitudine, dove abbiamo prenotato
l'hotel per la notte. Preso possesso dell'appartamento messoci a disposizione, a piedi raggiungiamo il vicino monastero, considerato la massima
espressione dell'architettura religiosa armena. Con il sole ormai tramontato, il luogo ci appare tetro e buio; alcune chiese del complesso sono già
chiuse, ma grazie alla presenza di una guida turistica che accompagna quattro signori inglesi, la chiesa principale viene riaperta. Noi, tuttavia,
ritorneremo ancora domattina.
Mercoledì 7 ottobre - Con un cielo scuro e carico di nubi nere dovuto ad una lunga
notte di pioggia, torniamo nuovamente al monastero di Haghpat. Anche oggi non c'è molta luce, ma riusciamo ugualmente ad apprezzare la
magnificenza delle varie costruzioni che costituiscono il complesso monastico, un insieme di edifici costruiti con stili diversi, eretto intorno
all'anno 1000: la chiesa di Santa Croce, costruzione a pianta cruciforme caratterizzata da una grande cupola, la cappella di San Gregorio, la chiesa
di Surp Astvatsatsin, la biblioteca, la torre campanaria. Ci portiamo quindi al vicino monastero di Sanahin, complesso circondato da alberi
d'alto fusto e costituito da gallerie medioevali utilizzate nei secoli come aule scolastiche, da chiese e da cappelle annerite, ricche di lapidi
incise, sopra cui si staglia la cupola conica della chiesa del Santo Redentore. Lasciata Alaverdi, ci rimettiamo in viaggio verso la frontiera
georgiana; con una deviazione raggiungiamo il monastero di Akhtala, complesso situato su uno sperone roccioso, circondato da mura difensive
ormai quasi del tutto scomparse. Entriamo nella chiesa di Surp Mariam Astvatsatsin, basilica a tre navate dalle evidenti influenze bizantine,
edificata nel XIII° secolo sulle rovine di una chiesa pre-esistente; mentre ammiriamo le pareti splendidamente affrescate che raffigurano la Santa
Vergine ed il Giudizio Universale, il custode non accortosi della nostra presenza, nell'assentarsi per la pausa pranzo ci chiude all'interno
dell'edificio. In attesa del suo ritorno, ne approfittiamo per scattare alcune foto, ma nel contempo senza perderci d'animo, troviamo anche il
modo di uscire da una porta secondaria. Pochi chilometri e siamo al valico di confine di Bagratashen; espletate velocemente le pratiche doganali
entriamo in Georgia. Il paesaggio cambia nuovamente; lasciata la gola montagnosa del Debed, ci ritroviamo tra basse colline e campi coltivati a
granoturco. Anche le condizioni della strada sono nettamente migliori; il fondo asfaltato è senza buche o rappezzi mentre il traffico è molto più
sostenuto e poco rispettoso delle regole stradali. Raggiungiamo Tbilisi, la capitale, città moderna e congestionata in cui vive un quarto
della popolazione dell'intera nazione. Preso possesso della camera nell'hotel prenotato su internet, situato nella zona universitaria, ci
rechiamo alla vicina stazione di Vazha Pshavela, per raggiungere, utilizzando entrambe le linee della metropolitana, il centro città. A piedi, ci
dirigiamo ad Avlabari, quartiere situato sulle rupi che sovrastano il fiume Mtkvari e percorrendo le anguste vie acciottolate risaliamo la collina
di Elia, su cui si erge la Cattedrale di Tsminda Sameba, imponente e moderna costruzione, consacrata pochi anni orsono, che domina il panorama
della città. Scendiamo verso la chiesa di Metekhi ed oltrepassato lo storico ponte omonimo, raggiungiamo Kote Abhazi, frequentata e centralissima
via, lungo cui sorgono molti dei più importanti monumenti di Tbilisi.
Il resoconto da giovedì 8 a martedì 20 ottobre, si trova nella sezione
Georgia.
Mercoledì 21 ottobre - Ci portiamo in centro, attraversando il quartiere di Kumayri,
il vecchio nucleo storico della città, in cui signorili palazzi d'epoca, reminiscenza di un passato in cui la città era un importante centro
commerciale tra i paesi caucasici e l'impero russo, convivono con le rovine di abitazioni distrutte dal terremoto del 1988 e mai ricostruite.
Lasciamo l'auto nella centrale piazza della Libertà, classico esempio di architettura sovietica, su cui sorgono due chiese del XIX° secolo:
la piccola Yot Verk (Surp Astvatsatsin) edificata in stile armeno e la chiesa di Amenaprkich, tuttora in fase di lenta ricostruzione dopo essere
stata quasi integralmente distrutta dal sisma. Raggiungiamo lo shuka, il mercato adiacente alla piazza; c'è poca animazione, i venditori
sono ancora intenti ad esporre le loro mercanzie sui banconi. Lasciamo Gyumri ed attraverso un paesaggio collinare con estesi
appezzamenti coltivati ci dirigiamo verso Spitak; la zona è prettamente contadina, ovunque animali al pascolo e campi coltivati. Qui si trovano i
villaggi di Lermontovo e di Fioletovo, minuscole enclave abitate dai molokani, una piccola comunità che lasciò la Russia nel XVIII° secolo
per sfuggire a persecuzioni religiose.
Passeggiando per le strade in terra dei due piccoli villaggi, tra rustiche case in legno, orti e stalle, non possiamo fare a meno di notare i
caratteri somatici tipicamente russi di bambini dai capelli biondi e dagli occhi chiari e la presenza schiva e riservata di donne con i capelli
raccolti in un fazzoletto colorato legato sul capo e di uomini dalla lunga barba incolta. Avvicinandoci a Dilijan il tempo peggiora; nuvole basse,
nebbia ed una fitta pioggerellina hanno preso il sopravvento sul sole. Ci rechiamo a visitare i due monasteri più conosciuti della provincia:
Goshavank ed Haghartsin. Il primo, un piccolo complesso formato da chiese e cappelle costruite nel XII° secolo nel villaggio montano di
Gosh, fu in epoca medioevale un importante centro di cultura con una fornita biblioteca distrutta dai mongoli. Haghartsin, nascosto in una
valle secondaria fra boschi di faggi e querce, complesso monastico costituito dalle chiese di Santo Stefano e di Surp Astvatsatsin, da celle
per i monaci, da un grande refettorio e da un forno per il pane, è ritornato alle condizioni originali in seguito ad un approfondito restauro
effettuato recentemente grazie ai fondi di uno sceicco arabo. Ritornati a Dilijan, concludiamo la giornata in Sharambeyan Poghots, breve
via acciottolata, unica reminiscenza della parte più antica della città che in epoca sovietica era un rinomato luogo di villeggiatura.
Giovedì 22 ottobre - Lasciamo Dilijan sotto una leggera pioggerellina dovuta
all'umidità causata da nebbia e nuvole basse per dirigerci verso il Sevan pass. La strada ad ampi tornanti, sale fino al tunnel che funge
da valico e da spartiacque tra la regione di Lori e quella del Tavush; scendendo verso il lago Sevan, il maggiore bacino lacustre armeno
situato a 1.900 metri di quota, ritroviamo il sole e la temperatura prossima allo zero, si alza decisamente, rendendo il clima molto più
piacevole. Costeggiando la riva, raggiungiamo la penisola, su cui sorge il monastero di Sevanavank, uno dei primi complessi religiosi ad
essere stato costruito dopo due secoli di sottomissione al dominio islamico e da cui la vista spazia sul lago e sui monti circostanti. Entrambe
le chiese, dedicate ai Santi Apostoli ed alla Santa Madre di Dio, furono costruite nel corso del X° secolo in una posizione splendida. Sono
attorniate da numerose pietre khatchkar; una di questa, molto elaborata, raffigurante Dio Padre circondato dai quattro Evangelisti e da scene
della Natività e della Creazione, adorna l'interno, semplice e spoglio della chiesa della Santa Madre di Dio. Ritornati all'auto percorriamo la
strada costiera che si snoda lungo la sabbiosa costa meridionale fino al villaggio di Noraduz dove si trova un antico cimitero costellato
di pietre khatchkar; saliamo fino alla cappella di Surp Grigor Lusavorich, anch'essa circondata da antiche pietre funerarie, costruita su una
collina che domina il lago. Facendo ritorno a Sevan
facciamo tappa alla chiesa di Hayravank, piccolo monastero in tufo del IX° secolo; al termine della visita facciamo conoscenza con una
scolaresca di quarta elementare, in gita con mamme ed insegnanti, proveniente dalla vicina Gavar. Viaggiano stipati, utilizzando anche panche di legno
posizionate nel corridoio centrale di un vecchio autobus a metano di costruzione sovietica. Una delle mamme che parla inglese, inizia una
conversazione con Adriana e come già ci è capitato in questo viaggio, veniamo invitati a pranzo. Ringraziamo, ma dobbiamo declinare l'invito e
ritornare all'agenzia Hertz per risolvere i problemi che puntualmente si sono presentati a causa delle gomme usurate. Utilizzando l'autostrada,
raggiungiamo Yerevan; lasciati i bagagli in hotel, ci rechiamo negli uffici della compagnia di noleggio
e spiegate le nostre ragioni, lasciamo l'auto a cui verranno sostituiti due pneumatici, ormai sulle tele, con altri, sempre usati e ce ne andiamo
a fare un giro in centro. Passeggiando lungo Hyusisayin poghota, via pedonale in cui si trovano i migliori negozi della città, ci portiamo alla
monumentale scalinata della Cascade, opera rimasta incompiuta fino ad una decina di anni fa, quando un filantropo americano di origini armene non
ha deciso di recuperarla, trasformandola in un centro espositivo di arte contemporanea.
Venerdì 23 ottobre - Prima di proseguire con la visita dei siti monumentali nei
dintorni di Yerevan, ci rechiamo in Nairi Zaryan, all'ufficio di rappresentanza del Nagorno Karabakh per chiedere il rilascio del visto che
ritireremo insieme ai passaporti nel tardo pomeriggio, al nostro rientro in città. Meta odierna, la valle del fiume Azat lungo cui si
trovano il tempio pagano di Garni ed il monastero di Geghard. Garni, tempio ellenico dedicato al dio del sole Mitra, risalente al I° secolo
dopo Cristo, in parte ricostruito nel secolo scorso, si trova in una posizione spettacolare ai margini di una profonda gola dalle
pareti rocciose, la gola di Avan, al cui fondo scorre il torrente Azat. Con l'auto scendiamo lungo una ripida e tortuosa pista sterrata per
raggiungerne il fondo ed ammirarne le incredibili pareti caratterizzate dalla presenza di rocce basaltiche di forma ottagonale simili a canne
d'organo; risaliti sull'altopiano e ritrovata la strada asfaltata percorriamo i pochi chilometri che ci separano dal monastero di Geghard,
uno dei più interessanti monumenti dell'architettura armena d'epoca medioevale. Un complesso in parte edificato ed in parte scavato nella montagna
in cui grotte, celle e chiese rupestri si fondono con chiese e cappelle costruite dalla mano dell'uomo. All'interno delle mura, due chiese del XIII°
secolo, Surp Katoghike e Surp Astvatsatsin ed una sorprendente chiesa rupestre comunicante tramite un breve cunicolo con la chiesa sottostante.
Alle 14,30 lasciamo Geghard per fare ritorno a Yerevan; dopo essere passati a ritirare visto e passaporti, saliamo al Parco della Vittoria,
spianata che domina la città su cui si erge la statua, alta ventitre metri, di Madre Armenia. L'alto piedistallo, che fino al 1967 aveva
sostenuto la statua di Stalin, ospita oggi il Museo militare; carri armati, autoblindo, razzi ed un aereo Mig appartenuti all'esercito russo sono
esposti sulla piazza antistante da cui la vista spazia sulla Cascade e sugli edifici del centro storico. Portata l'auto in hotel,
usciamo a piedi; da piazza della Repubblica proseguiamo lungo Mesrop Mashtots, fino alla Moschea Blu, l'ultima moschea rimasta in città, dove però
non ci è più concesso entrare essendo ormai prossima la preghiera serale del venerdì. Ci rechiamo alla vicina chiesa di Surp Sargis, la più popolare
tra gli abitanti di Yerevan, costruita nel XVII° secolo ed ammodernata nei secoli successivi a causa dei danni provocati da diversi terremoti.
Sabato 24 ottobre - Lasciamo Yerevan un po' meno trafficata del solito ed attraversata
la città ci dirigiamo verso la valle del Kasagh, dove visiteremo le chiese che si trovano lungo la gola omonima. La prima sosta è
presso il villaggio agricolo di Ohanavan dove si erge il monastero di Hovhannavank, la cui costruzione risale al IX° secolo. Come in
altre chiese armene, il complesso dedicato a Giovanni Battista, è costituito da una cappella con gavit (anticamera), da una chiesa a navata unica
la cui facciata è decorata con incisioni che narrano la storia delle Vergini sagge e delle Vergini stolte e da una cinta muraria con torri oggi
parzialmente crollata; molto bella la posizione a strapiombo sulla gola al cui fondo scorre il fiume Kasagh. Qualche chilometro in auto ed eccoci
al monastero di Saghmosavank. Edificato nel villaggio omonimo, sul ciglio della gola, il monastero "dei Salmi" poco si differenzia in
quanto a struttura, da quello visto in precedenza; anche in questo caso, assolutamente di rilievo, è la posizione in cui è stato costruito.
Il complesso è formato dalla piccola chiesa dedicata alla Santa Madre di Dio che tramite un edificio costruito nel XIII° secolo utilizzato come
biblioteca, è collegata alla chiesa di Surp Sion, la cui abside presenta tracce di affreschi. Proseguiamo fino al bivio nei pressi del
villaggio di Artashavan dove qualche anno fa è stato posizionato un originale monumento all'alfabeto armeno costituito da gigantesche lettere
in tufo e quindi, risalendo il versante sud del monte Aragats, raggiungere la fortezza di Amberd. Oltre alla chiesa dalla tipica forma a
croce, poco è rimasto della fortezza che si trova a 2.300 metri d'altitudine lungo uno dei tratti della via della Seta: solo una parte dei
bastioni della cinta muraria costruita su un picco roccioso a cavallo di due profonde vallate. Ritorniamo a valle, percorrendo la strada che a
tornanti scende rapidamente verso Ashtarak per immetterci nella superstrada, già percorsa al mattino e fare ritorno a Yerevan. Ci
dirigiamo alla Collina di Tsitsernakaberd, la fortezza delle rondini, su cui è stato costruito il complesso dedicato al Genocidio Armeno;
a piedi attraversiamo il parco con gli alberi piantati da capi di stato e di governo che hanno riconosciuto il genocidio, fino a raggiungere il
Memoriale che occupa l'intera collina. Camminando sul largo viale fiancheggiato da un muro di basalto, lungo cento metri, eretto per ricordare
villaggi e comunità massacrate negli eccidi, raggiungiamo il Monumento commemorativo, formato da dodici lastre di pietra disposte a cerchio ed
inclinate verso l'interno quasi a proteggere il braciere in cui arde una fiamma perenne e da una alta stele intrecciata, eretta al suo fianco, che
rappresenta l'unità del popolo armeno. Proseguiamo con la visita al Museo, un bunker sotterraneo di pietra grigia, in cui sono esposti documenti
e foto e vengono proiettati video che raccontano la storia dello sterminio di un milione e mezzo di armeni da parte del governo ottomano tra il
1915 ed il 1922. Scesi in centro città, ci rimane ancora il tempo per un rapido sguardo al mercato del Vernissage, un susseguirsi di bancarelle
su cui sono posti in vendita souvenir, prodotti dell'artigianato locale ed oggetti usati di scarso interesse.
Domenica 25 ottobre - Stamane piove. Lasciamo Yerevan per dirigerci a Echmiadzin,
centro spirituale della Chiesa Apostolica Armena e sede del Catholicos, il patriarca supremo degli armeni, per assistere alla solenne funzione
religiosa che ogni domenica mattina, alle 11, viene celebrata in Cattedrale. Imbocchiamo la superstrada che conduce all'aeroporto e superato il sito
archeologico di Zvartnots, ci fermiamo alla periferia della cittadina di Echmiadzin per visitare la chiesa di Surp Hripsime, una delle
più antiche d'Armenia, edificata a pianta cruciforme nel luogo in cui Santa Hripsime venne martirizzata. Ci portiamo quindi al vasto
complesso religioso, Santa Sede della chiesa armena, dove circondati da giardini alberati, nei secoli sono state costruite chiese, cappelle,
residenze per i monaci, musei e la cattedrale di Mayr Tachar, l'edificio più importante, eretto nella forma attuale nel V° secolo dopo Cristo.
Entriamo in chiesa. La cattedrale è gremita di fedeli; nell'aria l'odore intenso di incenso e cera bruciata, dovuto alle tante candele, la cui
luce illumina il volto dei fedeli raccolti in preghiera. Accompagnati dai canti del coro, seguiamo la funzione solenne e suggestiva, anche
per la presenza di molti sacerdoti e diaconi. Dopo oltre un'ora, con la celebrazione ancora in corso, facciamo ritorno a Yerevan. Ci attende un
lungo trasferimento verso le regioni meridionali, che raggiungiamo utilizzando la superstrada M2, per lunghi tratti ancora in costruzione, che
costeggia il confine con la Turchia. A Yeraskh, minuscolo villaggio, avamposto militare a ridosso della frontiera azera, la strada
abbandona la pianura per affrontare i rilievi montuosi dell'interno. Un susseguirsi di passi ci porterà a raggiungere le colline coltivate a vite
di Areni e dopo aver superato i 2.344 metri del passo di Vorotan, la regione di Syunik, la più meridionale d'Armenia.
Lunedì 26 ottobre - Sotto una fine pioggerellina, lasciamo Goris, importante crocevia
a cui fanno capo le direttrici per il Nagorno Karabakh e l'Iran. Ripercorriamo un tratto della statale proveniente da nord per raggiungere il bivio
da cui si diparte la strada, asfaltata recentemente, che scende ripida all'interno della valle del fiume Vorotan. Oltrepassato il Ponte del
Diavolo, arco naturale di rocce calcaree che scavalca l'orrido in cui calde acque sulfuree che sgorgano dal sottosuolo, dopo aver creato delle
vasche naturali, si gettano nel fiume, affrontiamo il ripido tratto sterrato che a tornanti si inerpica sul versante opposto della gola fino a
raggiungere il monastero di Tatev, complesso fortificato cinto da possenti mura, costruito su uno sperone roccioso a picco sulla vallata
sottostante. Una posizione spettacolare che apprezziamo ancora di più, quando un piccolo spiraglio di luce fattosi largo fra le nuvole ci consente
di ammirare l'intero complesso monastico, dominato dalla chiesa di San Pietro e Paolo, costruita nel IX° secolo, a cui è stata affiancata, due
secoli più tardi, la chiesa di Surp Grigor. Addossati alle mura, altri edifici: il refettorio, la cucina ed il frantoio in cui si produceva l'olio
per i monaci e per gli abitanti dei villaggi vicini. In auto proseguiamo lungo la strada sterrata fino al punto panoramico da cui la vista spazia
sul monastero, sul
villaggio e sull'intera vallata; decidiamo di continuare fino al piccolo villaggio di Tandzatar. Sulla piazzetta del minuscolo borgo agricolo, un
anziano contadino sta costruendo una rudimentale scala a pioli inchiodando pezzi di asse a due pali ricavati da rami d'albero. E' stupito e
incuriosito dalla nostra presenza, ci parla in russo; riusciamo a capire che vorrebbe offrirci un caffè o una vodka. Ci fa segno di attendere;
entra in casa e ne esce con sei mele, che ci offre. Lo ringraziamo, facciamo un giro a piedi per le fangose strade del villaggio, da cui il monastero
ci appare con una prospettiva diversa e quando ritorniamo a riprendere l'auto, ci sta aspettando con una borsa di mele e noci che nell'attesa ci
ha preparato. Non è la prima volta, in questo viaggio, che tocchiamo con mano la generosità e l'ospitalità del popolo armeno. Ricambiamo con i
biscotti che avevamo acquistato in città e lasciamo il villaggio per ritornare a Goris percorrendo a ritroso la strada di questa mattina e
proseguire verso il Nagorno Karabakh, regione abitata da armeni che si è proclamata indipendente dall'Azerbaijan nel 1991. Viaggiamo nella nebbia,
a tratti molto fitta; la visibilità di una cinquantina di metri non ci consente di vedere il paesaggio che ci circonda. Passato il posto di polizia
di Berdzor che funge da valico di frontiera, puntiamo direttamente su Stepanakert, la capitale. Ci mettiamo alla ricerca di un hotel per poi
muoverci a piedi nel centro della città, ricostruito dopo i danni riportati nella guerra cessata nel 1994. Da Piazza del Rinascimento, il cuore
politico - amministrativo cittadino si cui sorgono il Palazzo Presidenziale ed il Palazzo dell'Assemblea nazionale raggiungiamo Azatamartikneri
Poghota, animato viale con edifici residenziali, negozi e palazzi governativi che ospitano ministeri ed uffici statali.
Martedì 27 ottobre - Anche oggi pioggia, nebbia e nuvole
basse. Ci spostiamo verso la parte nord-occidentale della regione; da Stepanakert su tortuose strade con l'asfalto in parecchi tratti molto
rovinato, che si snodano tra campagna, colline e basse montagne, ci portiamo a Vank per visitare il monastero di Gandzasar, il complesso
monastico di maggior spicco del Karabakh. Nascosto dalla nebbia, lo intravediamo circondato dalle mura erette a difesa della chiesa
del XIII° secolo, dedicata a San Giovanni Battista, il cui interno conserva pietre tombali di vescovi e nobili della regione. Ridiscendiamo in paese,
dove lungo il fiume, spicca l'anacronistica presenza di un albergo a forma di nave ed un muro rivestito con centinaia di targhe automobilistiche
azere, sostituite alle auto locali, quando il Nagorno Karabakh si dichiarò stato indipendente. Ne recuperiamo una buttata in terra e ci rimettiamo
in viaggio; dopo una sosta alle antiche pietre tombali di Kichan, attraverso boschi dai colori autunnali, campi lavorati, pascoli e sparuti villaggi
contadini ci dirigiamo verso la regione dello Shahumyan. La strada, su cui il traffico veicolare è praticamente inesistente, alterna tratti molto
sconnessi ad altri asfaltati di recente; superato il bacino artificiale di Sarsang, l'asfalto termina e fra buche, pozze e molto fango, seguendo
il corso del fiume Tartar, raggiungiamo il monastero di Dadivank. Circondato dai boschi, il complesso, uno dei più estesi del Caucaso,
comprende chiese, cappelle, gavit, refettorio e celle dei monaci; molti edifici sono costruiti su due livelli, con la parte inferiore scavata nella
roccia, molto deteriorata a causa del suo utilizzo, nel corso dei secoli, anche come ricovero per gli animali. Il tutto, sovrastato dalla chiesa di
San Taddeo, costruita nel IX° secolo, che presenta all'interno due affreschi, attualmente in fase di restauro, opere secondo una leggenda, della
principessa che commissionò la costruzione del monastero.
Mercoledì 28 ottobre - Il maltempo non ci abbandona; la pioggia purtroppo sarà una costante
che ci accompagnerà durante gli ultimi giorni di permanenza in Armenia. Ci rechiamo allo shuka, l'animato mercato di Stepanakert; facciamo un giro
fra bancarelle di frutta e banchi di macelleria. All'uscita ci ritroviamo con una gomma forata e perdiamo buona parte della mattinata dal gommista,
nostra conoscenza per averci già riparato un pneumatico il giorno del nostro arrivo nel Karabakh. Vorremmo recarci a visitare le rovine della
fortezza di Tigranakert, una delle quattro città fondate nel I° secolo a.C. dall'imperatore d'Armenia, Tigrane il Grande. Facciamo una breve sosta
al forte di Mayraberd, ad Askeran, le cui gigantesche mura sono attraversate dalla strada, ma poco più avanti, nei pressi del bivio per la
città fantasma di Aghdam, un posto di blocco dell'esercito, ci preclude la possibilità di proseguire; essendo abbastanza vicini alla linea del
cessate il fuoco, per motivi militari la strada è stata chiusa al traffico fino al primo pomeriggio. Ci sono già alcuni taxi in attesa, chiediamo
se possiamo dirigerci verso Martuni. Anche in questa direzione il transito è vietato; non ci resta che tornare indietro ed andare a Shusha,
un tempo, importante centro culturale armeno ed azero, cittadina abbandonata da buona parte dei suoi abitanti a seguito dei gravi danni riportati
durante il conflitto. Riusciamo a vedere i bastioni di una parte delle mura medioevali e la restaurata cattedrale di Ghazanchetsots, costruita a
metà del 1800, utilizzata in epoca sovietica come magazzino prima che la nebbia inghiotta strade e palazzi, mentre la pioggia aumenta di
intensità. Ci inoltriamo nei vicoli della città vecchia, quella che più pesantemente ha patito i cannoneggiamenti ed in cui sono tuttora presenti
gli scheletri di molti edifici distrutti dalla guerra; fra palazzi profondamente danneggiati dai colpi dell'artiglieria, carcasse di automobili
abbandonate e la vegetazione selvaggia cresciuta in ogni dove, ci rechiamo alle due moschee, quella bassa e quella alta, ridotte a ruderi abbandonati
i cui minareti in condizioni molto precarie scompaiono nella nebbia. Anche alcuni grossi edifici di epoca sovietica salvatisi dai colpi
dell'artiglieria pur essendo abitati, sono in condizioni estremamente misere; la speranza di un miglioramento sta nei nuovi palazzi appena terminati
e costruiti al posto di altri già abbattuti. Imbocchiamo la strada per Karmir Shuka; in un susseguirsi di campi coltivati, terreni adibiti a pascolo,
minuscoli villaggi rurali di una zona che sembra essere molto povera, tra colline tondeggianti che richiamano i paesaggi dell'Italia centrale,
arriviamo al monastero di Amaras. Fondato da San Gregorio l'Illuminatore nel 310 d.C., su una spianata tra campi e vigneti, seppur protetto
da mura fortificate e torrioni, ha subito nel corso dei secoli attacchi e devastazioni da parte di arabi, turchi, mongoli. Ci accoglie un giovane
del posto, che dopo averci aperto la chiesa, di pianta rettangolare, ricostruita nel classico stile armeno e mostrato la cripta in cui si trova la
tomba di San Gregorio, ci accompagna lungo i bastioni difensivi, a cui sono addossate costruzioni che ospitavano il refettorio, le aule in cui
l'inventore dell'alfabeto armeno, nel V° secolo, insegnava la nuova scrittura, le celle dei monaci e le stalle per il ricovero degli animali.
Giovedì 29 ottobre - Sotto un cielo nuvoloso lasciamo Stepanakert, per ripercorrere
la strada che salendo a Shusha porta al posto di polizia che funge da valico di confine. Consegnato il foglio di uscita siamo nuovamente in
territorio armeno; poco prima di Goris, lasciamo la statale, per raggiungere il villaggio di Khndzoresk. Nella nebbia, a fatica, troviamo il
bivio per la strada sterrata ridotta dalle condizioni meteo in un tratturo fangoso che conduce al punto in cui lasciata l'auto, una ripida e
scivolosa scalinata in legno porta alla passerella sospesa che attraversa il vallone e permette di raggiungere l'area delle abitazioni rupestri.
Lungo oltre centosessanta metri e con un'altezza di sessantatre metri, è un passaggio poco indicato a chi soffre di vertigini visto che si cammina
su griglie di metallo che permettono di ammirare il paesaggio ed il torrente che scorre nella gola sottostante. Le grotte che fungevano da abitazioni
sono sparse lungo le pendici del monte su cui sorge anche la chiesa del 1663 dedicata a Santa Hripsime; camminiamo fra grotte e picchi di tufo e
grazie alla nebbia che si è un poco diradata possiamo intravedere quanto ci circonda. Ripresa l'auto, oltrepassiamo Goris per raggiungere
Sisian. Ci fermiamo a Karahunge, sito archeologico sull'altipiano, a 2.400 metri di altitudine, dove nel terreno sono stati eretti 204
blocchi di basalto, alcuni dei quali presentano un foro o delle incisioni; megaliti simili a menhir, collocati seguendo ampie linee circolari ed
allineati secondo precise angolazioni astronomiche. Proseguiamo fino al monastero di Vorotnavank costruito intorno all'anno 1000 su un picco
roccioso che sovrasta il fiume e che comprende le chiese di Santo Stefano e Surp Karapet ed un cimitero con tombe con bassorilievi e numerose
pietre khatchkar. Ritornati sulla statale, ci dirigiamo a Yeghegnazdor, dove con le prime tenebre, cerchiamo una guest house per la notte; ci
fermiamo da Nataly che ci mette a disposizione un intero alloggio.
Venerdì 30 ottobre - Da Yeghegnazdor saliamo al vicino monastero di Aktar dove solitamente
nel mese di ottobre al termine della stagione dei raccolti, la gente del posto si reca ad una piccola chiesa sulla cima di una collina per fare dei
sacrifici animali; un'antica tradizione pagana in cui piccoli galletti vengono sacrificati in segno di ringraziamento. Vuoi per l'ora, vuoi per la
pioggia insistente, il monastero è deserto. Scendiamo nuovamente sulla statale che seguiamo fino ad Areni dove ci inoltriamo nella stretta gola
dell'Amaghu, lungo la strada che tra due alte pareti rocciose conduce al monastero di Noravank, complesso edificato tra il XII° ed il XIII°
secolo, costituito da più chiese, che si trova al fondo della valle circondato da montagne di arenaria rossa, in una magnifica posizione. Superate
le mura perimetrali ci aggiriamo tra le numerose pietre khatchkar che circondano i diversi edifici: la chiesa di San Giovanni Battista, la più antica
del monastero, l'adiacente chiesa di Santo Stefano, in cui è presente un originale bassorilievo risalente al periodo delle invasioni mongole in cui Dio
è raffigurato con gli occhi a mandorla, la chiesa di Surp Astvatsatsin, a due piani con una doppia scala molto stretta sulla facciata che permette
di salire alla cappella superiore. Sul costone roccioso un branco di Ibex Asiaticus, grossa capra selvatica simile per costituzione allo stambecco,
sta pascolando tra rocce
ed arbusti. Ripresa l'auto proseguiamo verso nord; oltrepassiamo la zona montagnosa che culmina con il passo di Vorotan e scendiamo nella pianura,
punto di incontro per le frontiere di Azerbaijan, Turchia ed Armenia. Sotto la pioggia sempre più fitta raggiungiamo il monastero di Khor Virap;
costruito sulla sommità di una collina, offre il meglio di sé nelle giornate limpide e soleggiate, quando il monte Ararat innevato appare sullo
sfondo. Non è il nostro caso, oggi purtroppo solo nuvole e tanta pioggia. Visitiamo le due chiese del complesso, la cappella di San Gregorio in cui
c'è il pozzo dove il santo venne tenuto prigioniero e la chiesa di Surp Astvatsatsin costruita nel XVII° secolo. Facciamo rientro a Yerevan,
rinunciando per la pioggia alla visita delle rovine del sito archeologico di Zvartnots; depositati i bagagli in hotel, consegniamo all'agenzia Hertz,
l'indistruttibile Lada Niva 4x4. Ci rimane ancora il tempo per qualche acquisto; optiamo per le bottiglie di brandy Ararat, lo stesso che beveva
lo statista inglese Winston Churchill.
Sabato 31 ottobre - Con una leggera nebbia dovuta all'umidità della notte, attraversiamo la
città deserta, ancora avvolta dalle tenebre. Alle prime luci del giorno decolliamo dallo "Zvartnots International Airport"; prendendo quota, usciamo dal
mare di nuvole e nebbia che ricopre la città e finalmente la vetta del monte Ararat ci appare insieme ad altri picchi, ricoperti da una spruzzata di
neve fresca. Atterriamo a Mosca in una giornata fredda ma soleggiata; ormai siamo al termine del nostro viaggio, una breve attesa e con un Airbus 320
della compagnia di bandiera russa facciamo rientro a Malpensa.
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