" El Noroeste andino "
El Noroeste andino, la regione delle alte montagne, caratterizzata da paesaggi tanto vari
quanto straordinari: vette innevate, montagne e colline dalle rocce multicolori, fenomeni geologici paragonabili a quelli dei
parchi nordamericani, deserti. Un territorio, culla dell'indipendenza nazionale, anche se dal punto di vista culturale è ancora oggi più
vicino ai paesi ed alle consuetudini andine che alle usanze della pampa argentina, abitato da comunità di lingua quechua, che da quote collinari si eleva sino a diventare il prolungamento meridionale dell'altiplano andino.
Lunedì 15 ottobre - Piove, quando usciamo di casa per raggiungere l'aeroporto di Malpensa
dove ci attende il volo Iberia IB 3643 delle 19,10 diretto a Madrid. In poco più di due ore siamo allo scalo madrileno di Barajas, dove resteremo
fino alle 00,50 quando con trenta minuti di ritardo lasciamo il suolo spagnolo alla volta del Chile.
Martedì 16 ottobre - Passiamo la notte in volo; un volo tranquillo interrotto solamente da un'area di turbolenze sorvolando in territorio brasiliano, il Mato Grosso. Alle 8,50 atterriamo all'aeroporto di Santiago del Chile; non avendo recuperato il ritardo accumulato in partenza, il nostro arrivo viene a coincidere con quello di altri voli e fra attese interminabili per il recupero dei bagagli e lunghe code al controllo dei documenti ed al successivo meticoloso controllo doganale, impieghiamo un paio d'ore prima di poter lasciare il terminal aeroportuale. Utilizzando il servizio navetta della compagnia Turbus raggiungiamo la stazione degli autobus di Alameda, punto di partenza dei mezzi pubblici diretti in Argentina dove ci mettiamo alla ricerca di un autobus per Mendoza. Optiamo per il rapido minibus a dodici posti di Radiomovil, emanazione della compagnia internazionale Cata ed alle 12,30 lasciamo la trafficata capitale cilena. Attraversata la vasta periferia industriale, dopo un tratto in autostrada, con il ritorno alla viabilità ordinaria, iniziamo la lunga salita verso i primi contrafforti andini; oltrepassata la cittadina di Los Andes, risaliamo la valle percorrendo la Ruta 60 che tra panorami suggestivi ci porterà a raggiungere, dopo un ultimo spettacolare tratto con ventinove tornanti consecutivi, la stazione sciistica di Portillo. Oltrepassato il lungo tunnel che ha sostituito il passaggio dal vecchio valico, affrontiamo la discesa lungo il versante argentino; grazie ai pochi mezzi in transito, in mezz'ora superiamo i controlli doganali al posto frontaliero comune di entrambi i paesi. Ora possiamo scendere nella ampia vallata costeggiando le anse formate dalle rapide del tumultuoso rio Mendoza e raggiungere la pianura in un susseguirsi di vasti vigneti, estremamente curati. Un ultimo breve tratto in autostrada attraverso la periferia industriale della città ed alle 18,40 giungiamo al terminal degli autobus di Mendoza. In taxi ci facciamo portare all'hostel prenotato tramite internet e lasciati i bagagli, raggiungiamo la vicina Avenida las Heras dove ci fermiamo per la cena.
Mercoledì 17 ottobre - Usciamo a piedi e percorrendo le Avenidas Las Heras e
Mendocinas, raggiungiamo plaza Indipendencia e la centralissima isola pedonale di Peatonal Sarmiento. Effettuato il cambio della valuta,
proseguiamo il nostro passeggio lungo i viali alberati su cui si affacciano signorili palazzi d'epoca, per raggiungere la sede della compagnia
di autonoleggio Sixt, dove provvediamo al ritiro dell'auto prenotata dopo un fitto scambio di e-mail. Alle 10,30, siamo nuovamente all'hostel per
ritirare i bagagli ed iniziare il nostro viaggio verso la regione del Noroeste. Utilizzando la Ruta 40 ci dirigiamo verso San Juan; dopo 160 chilometri di statale quasi rettilinea che attraversa estesissime tenute coltivate a vigneto, ci immettiamo nella Ruta 20, secondaria strada asfaltata che conduce a Vallecito, piccolo paese dove sorge il Santuario dedicato alla Difunta Correa. Pur non essendo riconosciuta dalla chiesa cattolica, quella della Difunta Correa è una delle credenze popolari più radicate del paese; la leggenda narra che nel 1840 durante la guerra civile, Deolinda Correa, mentre con il proprio figliolo seguiva il marito arruolato nell'esercito, morì di stenti e di sete. Venne rinvenuta ormai cadavere, con il bimbo vivo che stava poppando dal seno materno. Questo miracolo, ha fatto si che da allora, la Difunta Correa viene da molti venerata come una Santa. Raggiunto il santuario, saliamo la scalinata che porta al luogo in cui venne rinvenuto il corpo; ovunque lapidi, ex voto e targhe di ringraziamento per grazie o aiuti ricevuti. Nel pomeriggio ripartiamo da Vallecito; ci aspetta la Rp 510, una strada asfaltata caratterizzata da un susseguirsi continuo di dossi ed avvallamenti che attraversa la pampa e le sue immense distese di bassi cespugli che si estendono a perdita d'occhio. Alle 18,45 siamo a San Augustin Valle Fertil, nostra meta odierna; il paese è molto piccolo ed in pochi minuti troviamo le cabanas presso cui trascorreremo un paio di notti.
Giovedì 18 ottobre - Attraverso una zona semidesertica, caratterizzata da basse dune sabbiose, scarsa vegetazione e piccoli pueblos sperduti nel nulla, ci dirigiamo al parco di Ischigualasto, una delle più importanti riserve paleontologiche al mondo, le cui origini risalgono a 180 milioni di anni fa. In poco più di un'ora siamo a destinazione, ma dobbiamo aspettare fino alle 10 per poter accedere all'interno del parco ed effettuare la visita accompagnati da un guardiaparco. Incolonnati con altre vetture ci addentriamo seguendo la pista sterrata che si snoda attraverso un percorso che prevede soste nei punti più caratteristici di questa valle desertica incassata tra due catene montuose di origine sedimentaria, in cui l'effetto dell'erosione ha creato figure quali "El Gusano" (il lombrico), grossa formazione rocciosa nelle cui pareti sono incastonati dei fossili, la "Valle Pintada", vallata con rilievi multicolori, la "Cancha de las bochas" (il campo di bocce), luogo dove si trovano decine di grosse pietre dalla forma arrotondata, "El Submarino", una grossa pietra la cui forma ricorda un sommergibile, "El Hongo", formazione rocciosa che si erge dalla piana desertica come un fungo. Sotto un sole cocente mitigato da saltuari refoli di vento che alzano nuvole di polvere, impieghiamo oltre tre ore per completare il giro del parco; poco dopo le 13 siamo nuovamente al centro d'accoglienza, dove visitiamo il museo che illustra il lavoro degli antropologi nella ricerca di fossili e che ospita una sezione dedicata ai dinosauri, essendone state rinvenute le ossa durante i lavori di scavo. Ci rimettiamo in viaggio per dirigerci ad un altra attrattiva della regione, il parco nazionale di Talampaya. Anche in questo caso dobbiamo aspettare circa un'ora per poter partecipare all'escursione in pulmino, unica possibilità per accedere al parco che prevede visite guidate ad orari prestabiliti. La prima, programmata per le 16, della durata di due ore, prevede soste presso alcuni dei punti più interessanti: una fermata è prevista all'imbocco del Canon, dove sulla roccia sono stati incisi dei petroglifici, bassorilievi raffiguranti uomini ed animali. E' quindi la volta della gola larga circa duecento metri, luogo di nidificazione dei condor, le cui pareti perfettamente verticali ed alte oltre centocinquanta metri, presentano incredibili lisce scanalature di forma arrotondata che fungono da cassa di risonanza per l'eco. La sosta successiva è alla parete rocciosa chiamata la "cattedrale", per via delle concrezioni rocciose che per effetto dell'erosione hanno assunto l'aspetto di guglie; in ultimo la zona in cui sono presenti formazioni rocciose dovute all'azione degli agenti atmosferici che prendono il nome da quanto dovrebbero rappresentare: la bottiglia, il totem, la torre, il monaco. Concludiamo la visita, percorrendo in senso contrario la pista sabbiosa che per diciassette chilometri si snoda nel letto del rio Talampaya fino a raggiungere nuovamente la biglietteria, dove riprendiamo la nostra auto per fare ritorno a San Augustin Valle Fertil.
Venerdì 19 ottobre - Lasciamo Valle Fertil utilizzando strade secondarie in cui il traffico
è pressochè inesistente; la Rp 511, asfaltata nella parte iniziale e quindi in ripio fino a San Ramon, la Rp 27 e dopo l'abitato di Patquia,
la RN 38. Alle 12 siamo nel centro di La Rioja; lasciata l'auto, raggiungiamo plaza 25 de Mayo, cuore storico della città, su cui si ergono
palazzi e chiese, tra cui il Cabildo che oggi ospita il palazzo del Governo. Visitiamo l'imponente cattedrale di San Nicola di Bari, dipinta
all'interno di un vistoso color albicocca e quindi il convento di San Domingo, edificato agli inizi del XVII° secolo e di cui si può visitare la
chiesa, in cui spicca tra elementi semplici e lineari, il bellissimo altare. Ci portiamo al convento di San Francesco, edificato in stile neo-gotico, che possiamo ammirare solo dall'esterno, essendo ormai chiuso per la pausa pomeridiana. La città, al nostro arrivo straripante di gente si è ora spopolata, vuoi per l'ora, vuoi per il gran caldo. Ci rimettiamo in viaggio lungo la RN 38, il traffico è scarso e la strada un susseguirsi di interminabili rettilinei attraverso aree caratterizzate da una bassa vegetazione a cui si alternano immense piantagioni di ulivi. Sono le 15,30
quando arriviamo a San Fernando di Catamarca; la temperatura è ancora più elevata, siamo nel pieno della caldera, il momento più caldo della giornata, in cui ogni attività è sospesa, per la siesta. Dopo esserci sistemati in albergo decidiamo di adeguarci alle usanze locali e di attendere un paio d'ore prima di raggiungere, sospinti da una piacevole tiepida brezza, il centro storico della città; ci rechiamo in plaza 25
Mayo, bella piazza alberata con jacarande ed araucarie, su cui sorge la chiesa dedicata a Nostra Signora del Valle. E' molto appariscente, con le
facciate esterne dipinte di colore albicocca e le navate interne di uno squillante verde-turchese. E' in corso la Santa Messa a cui assistiamo, per
poi fermarci a cena in uno degli affollati ristoranti situati sul lato nord della piazza; con la temperatura più gradevole della sera, le strade
sono gremite di gente che passeggia e che si sofferma nei negozi aperti fino a tarda ora.
Sabato 20 ottobre - Alle 8,30 lasciamo l'hotel; rifornimento di carburante ed eccoci
nuovamente a percorrere la RN 38. Superata la Sierra, ritorniamo nella torrida campagna coltivata. La zona è più abitata rispetto a quelle
attraversate precedentemente e numerose sono le piccole cittadine che attraversiamo; anche il traffico è aumentato in modo considerevole. A Montones lasciamo la statale per la Rp 325 e raggiungere Simoca. Ci dirigiamo subito al mercato che si tiene ogni sabato; pur essendo il più importante della regione, non è molto folkloristico. Con una breve passeggiata lungo la via principale raggiungiamo il centro del paese; negozi e luoghi di ritrovo sono frequentati da gauchos che indossano i tipici cappelli in feltro. Numerosi anche i calessi colorati trainati da cavalli, usati abitualmente dalla gente del posto, una delle caratteristiche della piccola cittadina. Lasciamo Simoca e ci dirigiamo a San Miguel de Tucuman. Ci mettiamo alla ricerca della sistemazione per la notte che avevamo scelto su internet ma la ricerca nel vicino sobborgo di Yerba Buena si rivela abbastanza difficoltosa per la mancanza di cartelli segnaletici. Solo grazie alle indicazioni di due pattuglie della polizia riusciamo a raggiungere casa Calchaqui, una bella villa immersa nel verde in cui i proprietari hanno ricavato alcune camere per gli ospiti. Fa molto caldo, la temperatura si avvicina ai trentatre gradi; ne approfittiamo per rinfrescarci nella piscinetta in giardino. Solo alle 18 lasciamo la piacevole frescura del giardino alberato di casa Calchaqui, per recarci in Plaza Indipendencia, piazza dalla forma rettangolare su cui sorgono i principali edifici della città: la Cattedrale, Casa Padilla residenza di metà ottocento di un vistoso colore rosso, ora museo, che sorge a fianco del Palazzo del Gobierno e la chiesa di Nostra Signora della Merced, caratterizzata da due enormi affreschi dipinti sulla parte inferiore della volta, della lunghezza dell'intera navata, con scene che ricordano la battaglia di Tucuman del 1812, ma che stranamente non hanno alcun riscontro sacro o religioso.
Domenica 21 ottobre - Sotto una fitta pioggerellina, da Yerba Buena scendiamo lungo i viali deserti fino al centro di Tucuman. Imbocchiamo la RN 9, bella e veloce strada a quattro corsie; il traffico è molto scarso, solo qualche autocarro diretto nel nord del paese. Allontanandoci da Tucuman il tempo migliora sensibilmente, quando arriviamo a Salta, le nuvole hanno lasciato nuovamente spazio al sole. Ci portiamo nel vicino sobborgo di Vaqueros alla ricerca di una cabanas per la notte e dopo esserci sistemati, raggiungiamo il centro città; le vie sono quasi deserte, sia per l'ora pomeridiana che per la giornata festiva. Ci portiamo nel cuore storico della città, Plaza 9 de Julio, la piazza sui cui sorgono gli edifici storici più importanti di Salta; il Museo archeologico di alta montagna (MAAM), dedicato alla cultura inca, dove sono esposte le mummie dei bambini, rinvenute nel 1999 da una spedizione del National Geografic a 6.735 metri di altitudine, non lontano dalla vetta del vulcano Llullaillaco. Sacrifici umani per compiacere gli dei e garantire fertilità e benessere al popolo Inca. La visita è emozionante ed interessantissima; le mummie conservate in un ambiente asettico ad una temperatura di -20° sono esposte a rotazione. Vediamo la mummia di un bambino di circa sette anni; è in condizioni incredibili, il corpo integro con i suoi capelli e gli abiti che indossava al momento del sacrificio. In un'altra sala, le cui teche contengono oggetti e tessuti trovati negli stessi luoghi di sepoltura, è esposta la Reina del Cerro corpo mummificato di una ragazzina di dodici anni, trafugata intorno al 1920 da una tomba inca, purtroppo in peggiori condizioni di conservazione. Al termine della visita al museo, ritorniamo nella piazza su cui sorgono il Cabildo, palazzi di epoche differenti e la Cattedrale, al cui interno, spiccano l'imponente altare dorato di stile barocco ed il pantheon dedicato agli uomini che fecero la storia della regione. Terminiamo la giornata con la visita alla chiesa di San Francesco, dalla vistosa e caratteristica facciata color rosso purpureo, riccamente adornata con fregi rococò e fiancheggiata dall'esile campanile.
Lunedì 22 ottobre - Ci portiamo nuovamente in centro a Salta per recarci ad un ufficio di cambio e per cercare un negozio in cui acquistare tanica ed imbuto avendo la nostra vettura, una Ford Ecosport, un serbatoio che può contenere solo quarantadue litri di carburante. Effettuati gli acquisti, imbocchiamo la vecchia statale chiamata la ruta de la Cornisa, tortuosa strada panoramica che valica la Sierra attraverso la foresta di montagna di tipo subtropicale la cui vegetazione molto fitta, composta da alberi d'alto fusto e liane arriva a cingere la sede stradale. Impieghiamo circa due ore per percorrere gli ottanta chilometri di questo suggestivo tratto montano; oltrepassato il borgo di El Carmen, ridiscesi nella calda pianura ci dirigiamo verso la cittadina di San Salvador Jujuy. Lasciata l'auto, raggiungiamo a piedi, la centralissima piazza Belgrano su cui sorgono il Cabildo e la Cattedrale. Il Cabildo è molto semplice, meno ricercato ed esteticamente meno bello di quello di Salta; sull'altro lato della piazza, la Cattedrale, con la sua facciata di un giallo pallido, meno appariscente di quelle di Tucuman o Salta. L'interno molto sobrio è caratterizzato da un vecchio e particolare pulpito in legno dorato, proveniente da una chiesa di epoca precedente. Costruito in legno di jacaranda, presenta sui pannelli della balaustra, bassorilievi dei Quattro Evangelisti, mentre su quelli che lo sovrastano sono scolpite le figure di Abramo e Salomone. Alle 13 lasciamo Jujuy e proseguendo lungo la RN 9 imbocchiamo la Quebrada di Humahuaca, valle arida e suggestiva in cui, i versanti montani a causa dell'erosione hanno dato vita a formazioni rocciose policrome, come la Paleta del Pintor, collina dalle rocce colorate ai cui piedi sorge il villaggio di Maimarà. Ci fermiamo a Tilcara, grazioso villaggio in cui trascorreremo la notte; depositati i bagagli, nel pomeriggio ci rechiamo alla Posta di Hornillos, antica stazione di posta rimasta attiva fino al 1908, anno in cui venne inaugurata la ferrovia per La Quiaca, oggi ristrutturata e trasformata in museo, le cui sale ospitano attrezzature e finimenti per cavalli, una vecchia carrozza ottocentesca, bauli e letti utilizzati quali arredi per le stanze dei passeggeri. In un'ala dell'edificio è ospitata una sezione dedicata alla popolazione Inca ed in una teca è esposto ciò che resta di una mummia che si presume fosse il corpo di un antico viaggiatore.
Martedì 23 ottobre - Proseguiamo il viaggio lungo la RN 9, la statale che conduce al valico
di frontiera con la Bolivia. Prima sosta della giornata, dopo una trentina di chilometri, nel villaggio di Huacalera, al monumento, una grossa
meridiana, che segnala l'attraversamento del Tropico del Capricorno. E' quindi la volta di Uquia, piccolo villaggio dalle stradine polverose,
conosciuto per la caratteristica chiesa secentesca di San Francisco da Paula, impreziosita da un altare dorato e da una collezione di dipinti in cui
sono ritratte schiere di arcangeli armati con archibugi. Ben più esteso e popolato degli altri villaggi della valle, ma ugualmente caratteristico,
per le vie in acciottolato e le case dai muri in adobe, è Humahuaca, la località principale della quebrada, a cui da il nome. Lasciata l'auto
nei pressi della vecchia stazione ferroviaria, area oggi occupata dalle bancarelle del mercato, a piedi raggiungiamo plaza Gomez, su cui sorgono il
Cabildo, edificio che ospita gli uffici comunali e la chiesa de la Candelaria. Sulla piazza si affaccia anche la scalinata che conduce al
Monumento a la Independencia, opera di uno scultore locale dedicata alle popolazioni indios, che vuole celebrare le virtù delle culture indigene
sopraffatte dalla colonizzazione spagnola. Alle 12, insieme ad alcune scolaresche, a parecchi turisti e a gente del luogo ci ritroviamo di fronte alla Torre dell'Orologio, parte integrante del Cabildo, dove da una apertura della facciata appare la statua di San Francesco Solano che, con un gesto della mano, impartisce la benedizione agli astanti. Ritornando alla nostra auto, attraversiamo le bancarelle del mercato affollato di donne e bambini di origine quechua, che ha luogo lungo i binari della ex ferrovia Belgrano. Lasciata Humahuaca, proseguiamo nella quebrada fino al bivio per Iturbe, piccolo villaggio da cui inizia la pista che con una tortuosa salita ricca di tornanti porta ai 4.000 metri del passo del Condor; superato il passo segnalato da un apacheta, un mucchio di pietre accatastate dai viaggiatori in segno di buon auspicio, iniziamo la discesa verso il fondovalle. Lungo la strada qualche casolare isolato circondato da muretti a secco utilizzati per rinchiudere il bestiame, un paio di piccoli cimiteri e qualche campo coltivato a patate. Dopo circa due ore siamo a Iruya, piccolo borgo incassato fra le policrome pareti rocciose del Cerro Rosado, erose dagli agenti atmosferici. Visitiamo la chiesa; passeggiando lungo i ripidi viottoli del villaggio, raggiungiamo il Mirador, punto panoramico da cui si può godere di una piacevole vista sui monti circostanti.
Mercoledì 24 ottobre - Da Tilcara, percorrendo la ormai consueta RN 9 raggiungiamo
nuovamente Humahuaca, per avventurarci lungo la strada di montagna in ripio (Rp 73) che collega il fondovalle con gli isolati pueblos di Aparzo e
Santa Ana. La pista sale ripida fra paesaggi stupendi; la vegetazione molto scarsa costituita essenzialmente da bassi arbusti e paja brava è terreno
di pascolo per guanachi, pecore e capre. Lungo la strada, minuscoli villaggi, sperduti casolari e recinti per gli armenti. Saliamo fino al passo,
sferzato da un vento forte e gelido. Le pozze d'acqua nelle zone d'ombra sono gelate, ma il paesaggio ha dell'incredibile; sotto di noi un mare di
nuvole nasconde la pianura ed il pueblo di Santa Ana. Tornati ad Aparzo, sul cancello della scuola abbiamo l'opportunità di parlare con il maestro che ci fornisce preziose informazioni per raggiungere il Mirador della Serrania di Horconal; il bivio anonimo e non segnalato è infatti difficile da individuare. La pista, poco più di un tratturo ripido e sassoso nascosto nell'erba alta, ci porta però ad uno scenario naturale davvero incredibile; un cerro fantastico, con rocce colorate di mille colori e dalle forme inusitate si para davanti ai nostri occhi. Scendiamo a Humahuaca; dopo 150 km. di pista polverosa, ritroviamo nuovamente l'asfalto. Proseguiamo verso nord, verso il confine con la Bolivia; breve sosta a Tres Cruces per vedere i monti ondulati ed alla duna di El Huancar, visibile dalla statale poco prima del villaggio di Abra Pampa ed alle 18, siamo a La Quiaca. Sistematici in una cabanas, decidiamo di dare una ripulita alla macchina a causa della polvere che si è infilata in ogni dove e di riparare la serratura del portellone posteriore che, proprio a causa della polvere, si è bloccata.
Giovedì 25 ottobre - Ci muoviamo in direzione di Yavi, villaggio dall'aspetto un poco decadente con le case dai muri in adobe ed il tetto in paglia, collegato a La Quiaca da un lungo rettilineo asfaltato. Arrivati in paese, ci rechiamo a visitare la chiesa, molto semplice, con un bel altare con pale barocche risalente al XVII° secolo e la prospicente casa coloniale appartenuta al Marques Campero, nobile spagnolo la cui famiglia aveva importanti interessi economici nella regione. Il palazzo dotato di un arioso cortile interno è stato trasformato in museo; una sezione è dedicata alla popolazione locale e vi sono esposti strumenti ed attrezzi da lavoro, olle, finimenti per cavalli ed una carrozza. Un'ala dell'edificio è dedicata all'esposizione dei mobili che arredavano la residenza della nobile famiglia e l'intera biblioteca appartenuta all'ultimo marchese, mentre l'ultima sala è dedicata all'attività mineraria della zona e fanno bella mostra di sè un vagoncino e gli attrezzi usati dai minatori per il lavoro in miniera. Ritornati a La Quiaca ci rechiamo nell'area della ex stazione ferroviaria dove in questi giorni si tiene la Manka fiesta, la festa delle Ollas. Occasione di ritrovo per la gente dell'altipiano, unisce una parte commerciale in cui l'attività predominante è la vendita di manufatti in terracotta, con una componente ludica; alle bancarelle gestite da donne provenienti dalla vicina Bolivia, si alternano giostre e divertimenti per bambini ed adulti. Ci rimettiamo in auto; dobbiamo percorrere la Rp 5, la strada in ripio che attraverso l'altopiano conduce alla laguna Pozuelos. Ne percorriamo una ventina di km. prima di incappare in una foratura; effettuata la sostituzione dello pneumatico non ci resta che fare ritorno a La Quiaca per la riparazione. Nonostante sia l'ora della siesta, troviamo un anziano gommista che seduto sull'uscio della sua bottega sta leggendo il giornale. Una pietra appuntita ha tagliato il battistrada; seppur eseguita con un'attrezzatura semplice e rudimentale, la riparazione riesce. I tempi però si sono dilatati e quando siamo pronti per ripartire, è troppo tardi per cercare di raggiungere la laguna Pozuelos; decidiamo di dirigerci direttamente a Purmamarca, seguendo la più diretta RN 9. Ci arriviamo che sono quasi le 18; dopo aver visionato parecchi hostel e cabanas ci fermiamo al Huaira Huasi, dove per la notte ci viene assegnata un'intera casa a due piani.
Venerdì 26 ottobre - Lasciamo la villa della signora Maria, proprietaria dell'Huaira Huasi,
la "casa del vento" e scendiamo al villaggio di Purmamarca. A piedi, ci addentriamo nelle strette strade sterrate fra rustiche case in adobe;
attraversata la piazza dove, in attesa dei primi turisti, si stanno allestendo bancarelle di tessuti e souvenir, ci dirigiamo al sentiero che conduce ai piedi del Cerro dei Sette Colori per effettuare il percorso ad anello attorno al monte e salire sul picco sovrastante il villaggio che funge da mirador e da cui si gode di una bella visione panoramica sul borgo e sui monti circostanti, i cui colori sono resi ancora più vividi dalla luce del mattino che esalta le diverse tonalità cromatiche delle rocce. Terminato il soggiorno a Purmamarca, con la visita alla chiesa secentesca, edificata in stile coloniale e dedicata a Santa Rosa de Lima, ci rimettiamo in viaggio; con una serie di tornanti lungo la RN 52 superiamo la Cuesta del Lipan; la strada è bella, il traffico quasi inesistente, incrociamo solamente alcune bisarche paraguayane, provenienti dal Cile, cariche di auto usate. Facciamo una sosta a Salinas Grandes, vasta distesa di sale prima di raggiungere il piccolo villaggio di Susques, l'antica capitale della puna dove si trova la chiesa più antica del nord dell'Argentina. Dedicata alla Virgen de Belen, fu edificata nel 1568. Molto rustica, con il pavimento in terra, il soffitto in legno di cardones, il tetto in paglia, le pareti in mattoni crudi ed i dipinti naif alle pareti, è bellissima nella sua semplicità ed è forse la chiesa più affascinante di questo nostro viaggio. Effettuato il pieno di carburante al distributore situato fuori paese, ci rimettiamo in viaggio; costeggiato il Salar di Olaroz, raggiungiamo la frontiera argentina di Passo de Jama. Molto rapidamente espletiamo il disbrigo delle pratiche doganali d'uscita e superato il passo, posto a 4.230 metri, siamo nuovamente in territorio cileno. Iniziamo la discesa verso San Pedro costeggiando una bellissima laguna le cui acque blu cobalto contrastano con l'arida distesa di sabbia punteggiata di pietre rossastre e di ciuffi di paglia gialla che la circondano e con la nera sabbia vulcanica ed il colore bianco latte delle acque di una seconda laguna, su cui svettano un paio di vulcani. Siamo vicinissimi al confine con la Bolivia, ora ci aspetta la ripida ed interminabile rettilinea discesa su San Pedro di Atacama. Alle 18,30 siamo alla dogana cilena situata all'ingresso della cittadina; i controlli sono un poco più lunghi, ma in poco più di mezz'ora riusciamo a sbrigare le formalità d'ingresso e a metterci alla ricerca di una sistemazione per le prossime notti.
Sabato 27 ottobre - Giornata, quella odierna, dedicata alla Valle della Luna, vasta area
distante una decina di chilometri dal centro di San Pedro di Atacama, simile per conformazione alla superficie lunare ed in cui la morfologia del territorio è dovuta a stratificazioni ed erosioni provocate nel corso dei millenni da agenti naturali. Al nostro arrivo, biglietteria ed accesso all'area protetta sono ancora chiusi e nessun addetto è presente nonostante gli orari esposti indichino che la Valle della Luna dovrebbe essere già aperta ai visitatori. Finalmente, alle 9,30 un minibus scarica il personale che con molta calma apre la biglietteria e toglie il blocco alla sbarra che consente l'accesso al parco; acquistati i biglietti e ricevute le indicazioni sulle zone aperte al pubblico, possiamo accedere alla pista in terra battuta che si inoltra nell'area. Dopo qualche chilometro, raggiungiamo il parcheggio antistante la Quebrada di Cari; lasciata l'auto, con il cielo coperto da una leggera velatura di nuvole che rende la temperatura accettabile, iniziamo un trekking di quasi due ore attraverso la quebrada, una stretta gola incassata tra pareti verticali. Uno scenario spettacolare, per la presenza di rocce composte da terra e tufo scolpite dagli agenti atmosferici, da cristalli di sale, quarzi e salgemma. Ritornati all'auto percorriamo un altro breve tratto di pista di circa due chilometri fino a raggiungere lo spiazzo antistante la Caverna de Sal ed il Canon, un passaggio molto stretto che termina in un basso cunicolo creato dall'erosione di acque sotterranee. Entriamo; avanzando anche in ginocchio, per superare i punti più stretti ed ostici, giungiamo fino all'ultimo tratto del tunnel chiuso per il pericolo di crolli. Per proseguire, bisogna, arrampicandosi, guadagnare un'apertura che permette di uscire in superficie e completare l'itinerario camminando sulle rocce che costituiscono la volta del cunicolo stesso. Ripresa l'auto, costeggiamo la Duna Grande, su cui saliremo nel tardo pomeriggio e ci fermiamo nel grosso cratere le cui pareti formano quello che viene chiamato l'Anfiteatro. Proseguendo fino alla fine della pista, raggiungiamo il punto in cui si ergono dal terreno, formazioni rocciose vagamente simili a statue, risalenti ad un milione di anni fa, indicate come los Vigilantes e da cui si diparte una sconnessa pista secondaria con il fondo in blocchi di sale che porta a Mina Crisanta, una miniera di sale abbandonata. Alle 13 con il sole a picco ed un caldo sempre più opprimente, facciamo rientro al villaggio. Mentre i nostri compagni di viaggio si concedono una siesta, mi reco a cercare una casa di cambio e nel contempo ne approfitto per una prima visita alla piazza ed alla chiesa del XVII° secolo, dedicata a San Pedro che visiteremo nei prossimi giorni. Alle 16,30 facciamo nuovamente ritorno alla Valle della Luna per recarci sulla sommità della Duna Grande: saliamo lungo un sentiero sabbioso fino al primo mirador posto in cresta, per proseguire, camminando sulla dorsale, fino ad un secondo punto panoramico che permette di volgere lo sguardo anche verso la Cordillera de Sal. Il paesaggio è fantastico e la luce del tramonto, donando a rocce e sabbia nuove tonalità e nuovi colori, rende ancora più spettacolare l'intera valle.
Domenica 28 ottobre - Sveglia alle 4 e nel buio profondo della notte lasciamo San Pedro per dirigerci verso El Tatio, che raggiungiamo percorrendo la stretta pista sterrata (B245) che in un alternarsi di ripide salite, molto scalinate a causa della forte pendenza, brevi discese e tratti sabbiosi sale verso l'altipiano. Quando giungiamo a El Tatio, area geotermica situata ad una altitudine di 4.300 metri, il cielo nero punteggiato da una miriade di stelle, che ci ha avvolto e accompagnato per l'intero tragitto, comincia a schiarirsi. Fa freddo; l'altipiano è sferzato da un vento teso e gelido e la temperatura è qualche grado sottozero. Lo spettacolo che appare ai nostri occhi con le prime luci dell'alba, è però estremamente suggestivo e spettacolare; i getti di acqua bollente dei geyser fuoriuscendo dal sottosuolo, a contatto con l'aria fredda del mattino creano alte colonne di vapore. Nelle pozze formatesi vicino alle bocche di fuoriuscita dei geyser, l'acqua bollente gorgoglia; in altre è il fango a ribollire tra i sassi. Ci fermiamo fino alle 8,30, ora in cui, con il sole ormai alto, il fenomeno creato dal vapore di mille fumarole, diventa quasi invisibile. Le luci del giorno ci permettono di vedere il paesaggio che ci circonda, un altipiano ondulato che ha come unica vegetazione radi ciuffi di paja brava. Scendendo verso San Pedro, ci fermiamo a Machuca, piccolo borgo di trenta anime, rimasto isolato fino alla costruzione della nuova strada dal fondo in ripio compattato con sale, che essendo in condizioni migliori rispetto alla pista percorsa nella notte, utilizziamo per il rientro. Al nostro arrivo, nel minuscolo pueblo composto da poche rustiche abitazioni regna sovrano il silenzio; giusto il tempo di visitare la caratteristica chiesa costruita nel 1911 sul crinale della montagna ed il borgo è invaso dalla vociante orda umana scaricata dai mezzi delle agenzie turistiche. Attendiamo qualche decina di minuti e con l'allontanarsi della gente, come per magia, tutto si ricompone. Proseguiamo, costeggiando la piccola laguna sulle cui rive sorge Machuca, lungo la nuova carrozzabile che si ricongiunge alla vecchia pista ad una decina di chilometri da San Pedro. Vi giungiamo che è quasi mezzogiorno; dopo la levataccia notturna, ci concediamo un meritato riposo e solamente a metà pomeriggio, risaliamo in auto per dirigerci verso Rio Grande. Dopo aver percorso per una trentina di chilometri la RN 23 in direzione di Calama, proseguiamo lungo la secondaria B207, fermandoci ad Herbas Buenas, per vedere i petroglifici incisi sulle pareti di un gruppo roccioso che si erge sperduto sull'altipiano. Cominciamo la visita dalla roccia più distante su cui sono chiaramente visibili le incisioni de "Los Chamanes", del "Puma" e de "Los tres flamengos", per passare quindi ad un secondo gruppo di rocce su cui possiamo ammirare l'incisione del "Dragon de dos cabezas". Proseguendo in auto per un altro chilometro, giungiamo alla pista sterrata che si snoda nel letto di un fiume in secca e che risale la quebrada fino alle rocce colorate di Arcoiris; raggiunto il punto in cui la pista termina, con il favore della luce, possiamo goderci lo scenario offerto dalle rocce multicolore che rendono la stretta vallata simile alla tavolozza di un pittore. Alle 18,45 lasciamo Arcoiris, percorrendo a ritroso la strada fatta in precedenza; poco prima di San Pedro, ci fermiamo al Mirador da cui si ha un'ampia visuale sulla sottostante Valle della Luna e sulla Cordillera de Sal. Il sole è purtroppo già tramontato, ci ritorneremo domani.
Lunedì 29 ottobre - Dopo il consueto rifornimento di carburante, imbocchiamo la strada che porta al passo di Sico, il secondo valico frontaliero con l'Argentina. Ci fermiamo a Toconao, piccola oasi dalle case costruite in liparite, pietra vulcanica bianca, per visitare la chiesa di San Luca, edificio del XVIII° secolo, amorevolmente curato dalle suore del convento adiacente, il cui campanile è stato edificato nei vicini giardini pubblici. Proseguiamo verso nord, lungo una strada secondaria interna al Salar di Atacama, la più vasta depressione salina del Cile, per raggiungere laguna Chaxa, riserva protetta, centro di nidificazione di una piccola colonia di fenicotteri rosa, creatasi nel corso dei secoli per il costante accumulo di cristalli prodotti dall'evaporazione di acque sotterranee con una elevata carica salina. Dopo esserci lasciati alle spalle il villaggio di Socaire, ci dirigiamo alle lagune Miscanti e Minique; la strada in terra battuta, bella e scorrevole diventa una pista quando abbandonata la direttrice principale, saliamo lungo le pendici della montagna per raggiungere l'ingresso del Parco. Ci appare per prima, la laguna Miscanti sovrastata dal vulcano Miniques, mentre in lontananza si vede la piccola e tondeggiante laguna Minique. Proseguiamo fino alla bella laguna dalle acque color bianco latte di Aguas Calientes; poi prima che sia troppo tardi, facciamo ritorno a San Pedro, fermandoci qualche chilometro prima del paese, ad ammirare dal Mirador, punto panoramico che sovrasta la Cordillera de Sal e la Valle della Luna, il tramonto.
Martedì 30 ottobre - Dedichiamo l'ultimo giorno di permanenza nel villaggio, alla visita
di San Pedro di Atacama. A piedi raggiungiamo la piccola piazza alberata su cui si affaccia la chiesa, dedicata a San Pietro, caratterizzata
da pareti dipinte con una vistosa colorazione bianca e blu, dal pavimento in legno e dalla volta della navata in pannelli di cactus cardones.
Proseguiamo con la visita all'adiacente Museo archeologico Padre Le Paige, le cui teche che contengono molti reperti archeologici, grazie ad una esposizione curata, permettono di comprendere l'interessante storia delle comunità della zona. Una piccola sala ospita la ricostruzione, con gli arredi originali, della stanza - studio del missionario belga Le Paige, colui che per primo iniziò le ricerche archeologiche nel deserto di Atacama. Ritornati alla cabanas e recuperati i bagagli ci rimettiamo in viaggio; raggiungiamo la vicina dogana per espletare le formalità di uscita dal Cile e tramite la RN 52 salire al passo di Jama. Strada facendo, ci addentriamo nella puna che circonda il Salar di Tara caratterizzato da rocce ed alti pinnacoli che si ergono dal deserto come tante sculture. Superato il passo ed il successivo controllo dei documenti alla frontiera argentina, proseguiamo sulla bella strada asfaltata che costeggia il Salar di Olaroz; a Susques ritroviamo la Ruta 40, larga strada sterrata che collega questa parte del Noroeste con San Antonio de Los Cobres. Ci fermiamo al villaggio di Huancar e lasciata l'auto nei pressi della chiesa facciamo due passi per il piccolo pueblo; il profumo di pane appena sfornato ci guida attraverso i vicoli ad una casa, dal cui forno, posto in cortile, una giovane donna ha appena estratto grosse forme di pane casero, mentre appoggiata ad un muro in un angolo del vicolo una vecchina, seduta in terra, sta filando con un arcolaio. Oltrepassati i pueblos di Pastos Chicos e Puerto Sey, la strada si inoltra in una gola delimitata da enormi massi staccatisi dalle pareti rocciose riducendosi ad una pista stretta e tortuosa con numerosi guadi e tratti in forte pendenza che ci portano rapidamente a transitare sotto il Viadotto della Polvorilla e raggiungere San Antonio de Los Cobres, polverosa cittadina mineraria, nostra destinazione odierna.
Mercoledì 31 ottobre - Dopo aver fatto scorta di acqua e viveri lasciamo San Antonio.
Ci dirigiamo lungo la Ruta 51 al passo di Alto Chorrillo a 4.560 mt. per poi percorrere l'altopiano fino al villaggio, oggi disabitato, di
Cauchari, da cui si diparte la pista in ripio (Rp 27) che conduce a Tolar Grande. Inizialmente larga, essendo percorsa da autoarticolati che trasportano il materiale estratto dalle numerose miniere attive in zona, la pista si fa via via più stretta e tortuosa. Il paesaggio è molto vario; aree estese come il deserto del Labirinto caratterizzato da centinaia di rosse "cupole" rocciose, in mezzo alle quali si transita con un percorso
scenografico, si alternano a tratti incassati, come la gola delle Siete Curves o il piccolo canyon della Garganta del Diablo. Dopo l'abitato di Pocitos ed il successivo Salar, la pista riprende a salire; in un tratto stretto e ripido siamo costretti a fermarci. All'alba un autoarticolato proveniente da una miniera a causa dello stato di ebbrezza del conducente si è ribaltato nella scarpata ed ora alcuni uomini con ruspe ed autocarri stanno cercando di recuperare il mezzo dopo averlo assicurato con funi d'acciaio. Sganciati momentaneamente un paio di cavi ci fanno passare. Per brevi tratti la pista affianca la vecchia linea ferroviaria che collegava Salta con il porto cileno di Antofagasta; ci fermiamo in una vecchia stazione ormai diroccata davanti a cui giace abbandonato un vagone passeggeri corroso dalla ruggine. Arriviamo a Tolar Grande, un tempo il luogo più popolato della puna nord-argentina; qui sino al 1976 vi abitavano oltre 2.500 persone. Dopo aver trovato una sistemazione per la notte nell'abitazione di Maria Villanueva usciamo a piedi per le vie quasi deserte e raggiungiamo la vicina stazione ferroviaria dove sui binari inutilizzati, in disuso dagli anni '70, sostano parecchi vagoni merci. Avvicinandosi l'ora del tramonto, in auto percorriamo i pochi chilometri che separano il villaggio dagli Ojo de Mar, profonde pozze d'acqua di un blu intenso nascoste, alla vista, da alti ciuffi di paja brava.
Giovedì 1 novembre - Lasciata Tolar Grande ci inoltriamo nel Salar di Arizaro,
vastissima estensione di terra, pietre e sale che attraversiamo per il lato più corto. Una trentina di chilometri da percorrersi su una strada in discrete condizioni, il cui fondo duro e compatto costituito da pietre e blocchi salini, diventa una pista polverosa utilizzata dagli autocarri delle miniere, quando lasciato il Salar ci addentriamo in una estesa area desertica. Dopo una lunga salita eccoci finalmente al bivio per Caipe; qui ha inizio il lungo tratto asfaltato che porta a La Casualidad. Si snoda a mezzacosta, stretto e tortuoso, a volte con enormi buche ma sicuramente in condizioni migliori dei tratti in terra scalettati per il tole ondulè trovati in precedenza. Il paesaggio è stupendo: al bianco del Salar fanno da contrasto le mille tonalità di giallo, rosso ed ocra di terra e sabbia e le nere colate laviche che ricoprono rocce multicolore. Impieghiamo circa tre ore e mezza per giungere a La Casualidad, centro minerario abbandonato nel 1979, in cui veniva lavorato lo zolfo estratto a Mina Julia, miniera situata ad un'altitudine di 5.150 metri e collegata al fondovalle tramite una funicolare. Giriamo a piedi per le vie di questo luogo incredibile e surreale fra macerie e rottami ferrosi, su cui si affacciano gli edifici che ospitavano gli alloggi per le famiglie, di chi qui viveva e lavorava. Le abitazioni più vecchie, costruite in pietra sono ormai ruderi diroccati; quelle più recenti cominciano a manifestare i segni dell'abbandono. Saliamo alla chiesa, anch'essa ormai spoglia di tutto ma dove una mano ignota, per ricordare la sacralità del posto con un gesso ha disegnato la Natività ed ha posizionato una croce di legno sulla parete che ospitava l'altare. Lasciamo la parte residenziale in cui sono ancora visibili le costruzioni che ospitavano la scuola, la mensa, il negozio ed il parco giochi per i bambini, per portarci nell'area produttiva dove il materiale veniva lavorato dopo essere stato trasportato a valle dai vagoncini della teleferica. Proviamo a salire verso Mina Julia; la pista si inerpica ripida, prendendo rapidamente quota. Sul terreno a bordo strada, giacciono funi portanti e vagoncini arrugginiti. Dopo una decina di km. ci arrendiamo; le condizioni della pista percorribili solo con un fuoristrada, non ci consentono di proseguire. Siamo comunque appagati dallo splendido panorama che si presenta ai nostri occhi, con il salar ed il deserto da un lato e vari vulcani, tra cui il Llullaillaco, dall'altro. Ridiscesi a La Casualidad (4.300 mt.), riprendiamo la via del ritorno; dopo una breve deviazione a Estacion Caipe, stazione in disuso, alle 17,30 siamo nuovamente a Tolar Grande. Riempiamo il serbatoio della vettura con la benzina della tanica di scorta e chiediamo a Juan, il marito di Rosa, se per caso in paese c'è la possibilità di acquistare del carburante per non trovarci con la benzina misurata. Tramite Rosa, dipendente comunale veniamo a sapere che la Municipalidad ha un suo piccolo deposito con fusti di gasolio per i mezzi della comunità (ambulanza, ruspe) ed un fusto di benzina disponibile per le moto ed i casi come il nostro. Acquistiamo i dieci litri che ci possono mettere a disposizione; ora siamo sicuri di poter arrivare con tranquillità al primo distributore, quello di San Antonio de los Cobres.
Venerdì 2 novembre - Lasciamo Tolar Grande, percorrendo in senso contrario la strada fatta all'andata e dopo aver riattraversato la Gola delle Siete Curves, la Garganta del Diablo, le montagne rosse di El Colorado ed il deserto di Pocitos, facciamo una breve sosta nel piccolo villaggio omonimo, per una visita alla semplice ma dignitosa chiesetta. Ora ci attende la Rp 129, una pista stretta ma in buone condizioni che attraverso il passo di Ambro del Gatto (4.630 metri), porta a Santa Rosa de Pastos Chicos. Superato il valico, scendiamo, seguendo piccoli rigagnoli e costeggiando sperduti salares fino a raggiungere la RN 51, la strada per la frontiera cilena di passo di Sico. Mentre fermi nella puna ci facciamo uno spuntino e nel contempo aiutiamo un ragazzino sbucato dal nulla, a riparare la sua bicicletta che ha la ruota posteriore danneggiata, vediamo arrancare sul fianco della montagna il Tren a las Nubes proveniente da Salta. Ci rimettiamo in auto per raggiungere lo spettacolare viadotto della Polvorilla, ponte in ferro lungo 225 metri, prima dell'arrivo del treno, che salendo lentamente lo percorre due volte prima di fermarsi per circa trenta minuti in quello che è il punto finale della sua corsa. La tratta Salta - Polvorilla è l'unica ancora in funzione della vecchia linea ferroviaria che collegava la città argentina con il porto cileno di Antofagasta. Costruita tra il 1921 ed il 1948, un tempo utilizzata per il trasporto di passeggeri e dei minerali estratti dalle miniere, è oggi percorsa settimanalmente dal solo convoglio turistico che lascia Salta di primo mattino per farvi ritorno a sera inoltrata. Ci arrampichiamo lungo il sentiero che dalla base dei tralicci sale lungo il ripido crinale fino ai binari dove alcune donne hanno allestito un piccolo mercatino, confidando negli acquisti dei passeggeri, turisti di diverse nazionalità. Ridiscesi alla nostra auto, ci dirigiamo a San Antonio de los Cobres e dopo esserci sistemati in albergo, usciamo a piedi per le vie deserte del paese; oggi è la festa delle Almas, il giorno dei defunti, che viene celebrato portando al cimitero, ghirlande di fiori colorati di carta crespa o di plastica, che vengono appese alle croci delle tombe.
Sabato 3 novembre - Un'altra tappa del nostro viaggio di rientro a Mendoza ci aspetta.
Lasciamo San Antonio utilizzando la RN 51; dopo una prima parte in sterrato molto polverosa, a Munano ritroviamo nuovamente l'asfalto. Anche il
paesaggio è cambiato, da brullo e desertico è diventato roccioso con una ricca vegetazione costituita prevalentemente da arbusti e cactus cardones.
Ci fermiamo al sito pre-incaico di Santa Rosa de Tastil; dalla statale saliamo fino al parcheggio da cui ha inizio il percorso pedonale che
si snoda attraverso i bassi muretti in pietra che delimitavano vicoli e case ed i numerosi cactus cresciuti fra le rovine. Completato il giro ad
anello che permette di comprendere la vastità del sito archeologico, proseguiamo nel nostro itinerario odierno; in un alternarsi di tratti asfaltati
e tratti in ripio, lungo la tortuosa statale che attraversa la Quebrada del Toro, raggiungiamo Salta. Dopo esserci fermati per far dare una ripulita
all'auto irriconoscibile per la quantità di polvere che c'è in ogni dove, saliamo verso la Cuesta dell'Obispo. Dopo un tratto molto tortuoso in mezzo ad una foresta subtropicale fitta e rigogliosa, costeggiando il fiume, ci inoltriamo nella vallata per affrontare la lunga salita che porta al
passo situato al culmine della Cuesta dell'Obispo, a 3.350 metri di quota. La zona è flagellata da un forte vento con nubi basse che pur muovendosi con notevole velocità ci nascondono la vista della vallata sottostante. Superato il passo della Piedra del Molino completamente avvolto dalle nubi, iniziamo a scendere tra intere colline ricoperte di giganteschi cactus, patrimonio del Parco nazionale dei Cardones. Avvicinandoci a Payogasto il paesaggio cambia nuovamente; a cactus e rocce sono subentrati campi coltivati e vigneti. E proprio attraverso estesi vigneti ci inoltriamo per una dozzina di chilometri in un'ampia vallata per raggiungere il borgo agricolo di Cachi Adentro, dove ci sistemiamo nelle cabanas del Miraluna, azienda vitivinicola il cui proprietario ha origini astigiane.
Domenica 4 novembre - Scendiamo a Cachi, piccolo villaggio dalle vie acciottolate, con vecchie dimore coloniali dalle facciate dipinte di bianco ed una bella piazza alberata su cui si affacciano il piccolo ma interessante Museo archeologico Pablo Diaz, allestito in un palazzo d'epoca e l'ottocentesca chiesa di San Josè, dalla caratteristica volta a botte in legno di cactus cardones, oggi affollata di fedeli intenti ad ascoltare la S. Messa domenicale. Decidiamo di ritornare al passo di Piedra del Molino, spartiacque tra il versante di Salta e quello di Cachi oltre che punto panoramico sulla valle della Cuesta dell'Obispo situata qualche chilometro più in basso. Le condizioni meteo non sono ottimali, ma grazie a qualche breve schiarita riusciamo finalmente ad apprezzare il panorama della vallata. Attraverso il Parco dei Cardones ci dirigiamo a Seclantas dove ancora oggi si tessono a mano su vecchi telai in legno, i famosi ponchos saltegni e quindi raggiungiamo Molinos, piccolo borgo dalle strette strade ombreggiate, dove ci fermiamo per visitare la chiesa settecentesca di San Pedro de Nolasco. Proseguiamo alla volta di Cafayate lungo uno dei tratti più spettacolari della Ruta 40, un percorso tortuoso e scenografico che si snoda attraverso gole e valli desertiche, tra cui la Quebrada de las Flechas, area con colline in argilla, gesso e cenere, dalla caratteristica forma a punta di freccia. A metà pomeriggio arriviamo a San Carlos; nell'attraversare la cittadina, vediamo che sono in corso i festeggiamenti per la festa del santo patrono, San Carlo Borromeo. La piazza su cui si erge la chiesa è affollata di persone che partecipano ad una tombola gigante mentre nelle vie è un andirivieni di uomini e ragazzi con i tradizionali abiti gauchos delle grandi occasioni che si spostano con i loro cavalli. Ci facciamo indicare dove sono diretti e raggiungiamo l'area in cui si tiene un rodeo con esibizioni e gare di abilità a cavallo. Solo verso sera raggiungiamo la vicina Cafayate.
Lunedì 5 novembre - Usciamo a piedi per ammirare gli edifici coloniali che costituiscono
il centro storico e visitare nella vicina plaza San Martin, l'imponente Chiesa di Nostra Signora del Rosario, in stile coloniale con la facciata
ad archi. Ritornati all'auto, proseguiamo nell'avvicinamento a Mendoza; lasciate le colline coltivate a vigneti, saliamo attraverso la Sierra, a Tafi del Valle, località di villeggiatura alpina, dove, sulle rive di un vasto bacino artificiale, nel piccolo villaggio di El Mollar sono stati posizionati oltre cento menhir, molti con bassorilievi ed incisioni, risalenti a 2000 anni fa ed il cui significato resta ancora oggi un mistero, rinvenuti nei campi e lungo i torrenti delle valli della Sierra del Aconquija. Scendiamo verso Tucuman, lungo la tortuosa carrozzabile che percorre la stretta gola del Rio de los Sosas ed attraverso le Yungas, foresta di tipo subtropicale folta e rigogliosa raggiungiamo le cittadine di Monteros e di Conception, dove ha inizio la Ruta 365. Un breve tratto iniziale asfaltato e la strada diventa una strettissima salita sterrata che inerpicandosi sulla montagna viene quasi inghiottita dalla rigogliosissima vegetazione della foresta pluviale. Oltrepassato il villaggio di Andalgala, affrontiamo un ultimo passo, il valico che permette di superare la Cuesta de la Chucha; la strada, anche in questo caso, strettissima e con tratti esposti, in un susseguirsi interminabile di tornanti, ci offre un percorso incredibile ed una vista impagabile sulle Yungas e sulla pianura sottostante. Dopo tante curve, rettifili infiniti; siamo nuovamente sull'altopiano. E' tardi, l'attraversamento delle Yungas ha richiesto molto più tempo di quanto avevamo preventivato; decidiamo di fermarci a Belen per la notte.
Martedì 6 novembre - Giornata di trasferimento quella odierna. Lasciamo Belen, cittadina
sperduta nella pampa degli altopiani occidentali, per affrontare interminabili e deserti rettilinei asfaltati che ci portano, percorrendo la Ruta 40, a San Blas de los Sauces e alla città mineraria di Chilecito. Attraversata la Cuesta de la Miranda, ci dirigiamo a Val Union, a Guandacal ed infine a San Josè di Jachal, piccolo borgo circondato da oliveti e vigneti, dove pensavamo di visitare la chiesa di San Josè che ospita all'interno il Cristo Negro, immagine giunta da Potosì in epoca coloniale, ma che purtroppo troviamo chiusa per restauri. Continuando sugli infiniti rettilinei asfaltati della RN 40, oltrepassiamo San Juan per giungere finalmente alla città da cui siamo partiti per il nostro viaggio nel Noroeste: Mendoza.
Mercoledì 7 novembre - Dedichiamo l'ultimo giorno della nostra presenza sul suolo argentino alla visita della valle dell'Aconcagua. Lasciata Mendoza, ci dirigiamo verso Lujan del Cuyo per imboccare la RN 7 verso Uspallata. La strada che avevamo già percorso in senso contrario il giorno del nostro arrivo in Argentina, è molto trafficata; sono prevalentemente autocarri ed autobus diretti in Cile. Superati un paio di posti di controllo della polizia, arriviamo a Puente del Inca, antico ponte del periodo incaico sul tumultuoso rio Mendoza, un arco naturale in pietra e sale, ricoperto da sedimenti di colore giallo - arancio depositati dalle acque sulfuree. Non essendo più possibile attraversarlo, ci limitiamo ad ammirarlo dal punto di osservazione situato accanto alla vecchia stazione ferroviaria, oggi in disuso e che ora ospita un mercato di artesanias. Proseguiamo lungo la statale fino all'ingresso del parco provinciale dell'Aconcagua, dove lasciata l'auto ed acquistati i biglietti, ci incamminiamo sulla pista in cemento che porta all'eliporto, ai container che fungono da rifugio per i guardia-parco ed a un largo sentiero che permettere di raggiungere comodamente il mirador, posto nei pressi della Laguna los Horcones, da cui si può godere di una splendida vista sul Cerro Aconcagua, con le svettanti punte nord e sud, alte rispettivamente 6.962 e 6.930 metri. Il cielo azzurro completamente sgombro di nubi ci permette di ammirare la maestosità dell'intero massiccio in cui, rocciose pareti verticali ed imponenti ghiacciai compongono un insieme estremamente spettacolare. Riguadagnato il parcheggio, in auto proseguiamo verso il confine cileno per raggiungere la statua del Cristo Redentor eretta agli inizi del 1900 a 4.000 metri d'altitudine, sulla linea di confine, lungo la vecchia strada statale non più utilizzata dopo la costruzione del tunnel. Saliamo per la ripida strada in terra fino a circa metà percorso quando dobbiamo fermarci per la neve, ancora alta, che ostruisce la sede stradale. Ritorniamo verso valle e dopo una sosta al Cementerio Andinista, luogo di sepoltura degli scalatori, deceduti durante l'ascensione dell'Aconcagua, facciamo ritorno a Mendoza. Acquistati al terminal degli autobus, i biglietti per il minibus di domani che ci riporterà a Santiago del Chile, raggiungiamo il centro città per la riconsegna dell'auto alla Sixt.
Giovedì 8 novembre - Alle 8,30 il pulmino della Radiomovil società della Cata International è di fronte al nostro ostello e dopo una breve sosta al terminal per caricare altri passeggeri, eccoci a ripercorrere la strada già fatta ieri. Lasciate alle nostre spalle Uspallata, Puente del Inca, Portillo ed il posto frontaliero dove si espletano le formalità doganali di entrambi i paesi, alle 15 siamo a Santiago del Chile. In taxi raggiungiamo il quartiere Providencia e dopo esserci sistemati in hotel, avendo buona parte del pomeriggio ancora davanti a noi, ci rechiamo a Plaza de Armas, il cuore pulsante di Santiago, il luogo in cui Pedro de Valdivia fondò la città ed attorno alla quale sono stati edificati alcuni degli edifici simbolo della città: la Cattedrale, il Palazzo della Real Audencia, oggi museo nazionale, il palazzo dell'Arcivescovado ed il palazzo della Municipalidad.
Venerdì 9 novembre - Ci muoviamo a piedi e passeggiando per gli ombrosi viali alberati del
quartiere Providencia raggiungiamo la principale arteria cittadina, l'avenida Libertador O'Higgins per salire al Cerro Santa Lucia, un parco
con scalinate, terrazze e fontane da cui si può ammirare il panorama della città. Scendiamo in Barrio Lastarria, un piccolo quartiere che dopo
essere stato per anni il punto di ritrovo per artisti ed intellettuali ha ora assunto un aspetto molto più turistico con bar e ristoranti che
occupano i palazzi costruiti nei primi anni del novecento lungo le vie che si dipartono da Plaza Gil de Castro. Dopo aver visitato la chiesa del barrio, dalla vistosa facciata dipinta di rosso ritorniamo in avenida O'Higgins per recarci alla Iglesia di San Francesco, l'edificio più antico di Santiago, edificato interamente in pietra, nel corso del XVI° secolo. Ci inoltriamo quindi nelle vie della city; raggiungiamo attraverso i bei giardini fioriti che ospitano il monumento a Salvador Allende, Plaza della Libertad ed il vicino Palazzo della Moneda, luogo simbolo del colpo di stato del 1973, edificio in stile neoclassico costruito a metà del 1700 per ospitare la zecca ed adibito nel secolo successivo a residenza presidenziale. Raggiungiamo Plaza de Armas affollata di gente, per visitare la Cattedrale, imponente costruzione che si estende in lunghezza per un intero isolato e concludere la giornata con la visita alla Casa Colorada, la dimora coloniale meglio conservata della città, trasformata in museo ed alla Basilica della Merced, chiesa a tre navate del XVIII° secolo, costruita sulle rovine dell'edificio precedente distrutto da un terremoto.
Sabato 10 novembre - Anche la giornata odierna è dedicata alla visita della città. In una bella giornata soleggiata, ci muoviamo a piedi e raggiungiamo nuovamente il centro storico molto meno trafficato ed affollato di ieri per la giornata semi-festiva. Anche noi, come tanti cittadini che si rilassano al sole conversando o leggendo il giornale sulle panchine dei giardini, ci fermiamo in Plaza de Armas, tra venditori ambulanti e Carabineros a cavallo prima di raggiungere Plaza della Libertad ed il piccolo mercato popolare di Feria Santa Lucia, dove sulle bancarelle sono posti in vendita oggetti dell'artigianato locale. Concludiamo la visita della città, al barrio Bellavista, quartiere ai piedi del cerro San Cristobal dalle animate e caratteristiche vie, in cui teatri e locali alla moda frequentati dai giovani del posto fanno capolino tra vecchie case dalle facciate colorate e piccoli ombrosi giardini. Passeggiando nei tranquilli vicoli del quartiere raggiungiamo La Chascona, la residenza utilizzata da Pablo Neruda quando soggiornava nella capitale, una bella villa costituita da tre corpi abitativi, oggi trasformata in museo in cui sono esposti oggetti personali, quadri e libri appartenuti al poeta, vincitore nel 1971 del premio Nobel per la letteratura.
Domenica 11 novembre - Siamo al termine del nostro viaggio; utilizzando la metropolitana
raggiungiamo il terminal dei bus di Alameda e con il servizio navetta della Turbus raggiungiamo l'aeroporto Comodoro Benitez, dove ci attende il volo Iberia IB 6830 in partenza alle 13,20.
Lunedì 12 novembre - Dopo un volo abbastanza tranquillo, con le consuete turbolenze
nei cieli brasiliani, all'alba atterriamo all'aeroporto di Madrid Barajas. Un paio di ore di attesa ed alle 8,50 partenza per l'ultima tratta
aerea, quella che ci porterà a Milano Malpensa dove arriviamo in tarda mattinata.
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